Jude, Willem, JB e Malcom si conoscono dai tempi del college ma, nonostante la forte amicizia che li lega, Jude non riesce a raccontare niente di sé e del suo passato. Un mistero che diventa via via più chiaro e che nasconde una realtà tremendamente dolorosa e un disperato bisogno d’amore.
Una vita come tante è la storia di un’amicizia piena e totale, un’amicizia capace di abbattere le barriere e demolire i demoni del passato che, se pur non si dimentica, può essere rivisto alla luce del presente costruito con determinazione e condivisione.
Una vita come tante, anche se quella di Jude è una vita tutt’altro che ordinaria. È fatta di sofferenza, di frustrazioni, di abusi e violenze, di fiducia mal riposta, di autodistruzione e segreti da custodire per non portare alla luce il marcio che si porta dietro. Ma è anche una vita che si è arricchita di amicizia e di amore. Intorno a lui si muovono persone che lo amano e cercano di volta in volta il modo di stargli accanto nonostante la sua reticenza, nonostante il suo essere schivo e refrattario al contatto fisico, nonostante l’incapacità di uscire dal guscio e raccontare chi è veramente.
Ed è proprio per questa sua incapacità di comunicare che noi lettori scopriamo a poco a poco quale terribile passato si porta dietro come un macigno. Jude – ragazzino abbandonato, violentato, torturato, senza più speranze di redenzione – è diventato un uomo che detesta il suo corpo perché è lo specchio di ciò che è stato e per sempre sarà. Ma la sua è anche la storia di uno che giorno dopo giorno deve imparare da capo a fidarsi degli altri per poter affrontare la realtà e fare i conti col suo passato. La sua realtà è un buco nero da cui si viene risucchiati, e tutto sommato lo si fa con piacere, senza opporre resistenza.
E se le oltre mille pagine possono sembrare un ostacolo arduo da superare, vi assicuro, non lo sono: i personaggi sono così ben delineati e le loro vite così sviscerate che entrano a far parte della quotidianità del lettore e, a lettura ultimata, se ne sente la mancanza come di una persona cara che non si rivedrà, forse, mai più. È difficile lasciar andare Jude e i suoi amici e far conto che non siano mai passati nella propria vita. Qualcosa di loro rimane addosso. Come si può rimanere indifferenti al dolore di Jude? Come si può non provare per lui un bisogno quasi fisico di proteggerlo, rassicurarlo, stringerlo tra le braccia e cullarlo come fosse un bambino fragile e indifeso? E come si può non innamorarsi di Willem? Willem, così premuroso e amorevole…
Perché l’amicizia era considerata ammirevole se avevi ventisette anni e inquietante se ne avevi trentasette? Perché era vista in modo meno positivo rispetto a una relazione? Chi poteva dire che non fosse addirittura migliore? Era il rapporto tra due persone che rimanevano vicine, giorno dopo giorno, unite non dal sesso, dall’attrazione fisica, dai soldi, dai figli o dalle proprietà, ma solo dalla comune decisione di andare avanti, dalla dedizione di entrambi a un legame che non sarebbe mai stato codificato.
La Yanagihara è abilissima a tenere il ritmo della narrazione serratissimo e, anche se parte un po’ col freno tirato (nelle prime cento pagine si fatica a capire a chi si debba prestare attenzione), evolve in un crescendo che tiene col fiato sospeso fino ad un epilogo che è il colpo di grazia, la stoccata finale che mette definitivamente ko. Mai nessun libro mi aveva così emotivamente coinvolta (e stravolta). Mai nessun libro prima d’ora mi aveva lasciato così frastornata, commossa, innamorata, fiduciosa nelle mille possibilità della vita e allo stesso tempo arrabbiata, demoralizzata e priva di forze. Una giostra di sentimenti che non danno tregua.
Piange, senza fermarsi. Piange per tutto ciò che è stato, per tutto ciò che sarebbe potuto diventare, per tutte le ferite che ha subito, per tutta la felicità che ha provato; piange per la vergogna e la gioia di poter essere finalmente un bambino, con tutto il corredo di capricci, insicurezze e bisogni; piange per il privilegio di potersi comportare male ed essere perdonato; piange per il lusso di sentirsi ricoperto di affetto e di attenzioni, di vedersi servire un pranzo ed essere costretto a mangiarlo; piange perché finalmente, dopo una vita intera, riesce a credere alle rassicurazioni di un genitore, a convincersi di essere una persona speciale ai suoi occhi, nonostante tutti i suoi errori e i suoi atteggiamenti odiosi, anzi, proprio per quelli.
Non è stato facile per me scrivere questa recensione, innanzitutto perché commentare un romanzo così intenso e commovente non è cosa di tutti i giorni e poi perché il semplice gesto di mettermi al computer davanti a una pagina bianca significa l’atto conclusivo di un viaggio che speravo non finisse tanto presto. E invece è finito. Eppure credo che lo rileggerò perché non si può liquidare una vita così in quattro e quattr’otto. Una vita come tante non è solo un romanzo che vale la pena leggere, ma è un’opera unica che andrebbe ripresa in mano più e più volte per non dimenticarla.