Eugenia è una regista affermata, ha un marito e due figlie, e tutto sommato una vita piena. Ma si porta dentro un tarlo doloroso che l’ha spinta a non fermarsi mai; così, attraverso i suoi ricordi, si passa dalla Londra degli anni ’80 alla New York del decennio successivo, fino ad arrivare alla Milano di oggi.
Scorrevole è scorrevole e i flashback del suo passato sono ben orchestrati col presente… ma ciò non basta perché si possa parlare di un libro di successo – anche se il numero di copie vendute dice tutt’altro! Tempo una settimana e la trama è scivolata via dalla memoria senza che neanche me ne accorgessi.
In bandella si legge che Eugenia è segnata da un dolore prematuro, ma questo dolore viene appena accennato, si ritrova qua e là scorrendo le pagine ma quasi senza emozione. Non trasmette il minimo coinvolgimento, nessun pathos!
Anche il tema della droga non è sviluppato a dovere. C’è solo un vago accenno, che vuole far intendere chissà quale epilogo e… invece no, anche lì si lascia al lettore il compito di completare il quadro.
E se metto tutto a posto e poi muoio? Se quando muoio trovano le pareti dipinte e l’armadio in ordine, cambia qualcosa? Amo di meno mia madre perché ha lasciato i maglioni appallottolati nei cassetti? No. Semmai di più.
Un paio d’anni fa ho letto Non vi lascerò orfani e nel complesso l’ho trovato un buon libro, a tratti molto coinvolgente, probabilmente perché molti episodi legati all’infanzia della scrittrice mi portavano alla mente quelli che si tramandano anche nella mia famiglia. Sta di fatto che alcuni passaggi li ho ancora vivi nella memoria.
In Un karma pesante invece l’idea di partenza c’è, ma sono troppi i punti di domanda che restano irrisolti, troppi gli argomenti trattati alla “va’ là che vai bene!” – come direbbe la Bignardi – che se sviluppati potevano essere un materiale interessante. Peccato!