“La via Crescenzio era sempre stata una strada tranquilla, abitata da famiglie che avevano comprato la propria casa quando era sorto il quartiere. […] Il decoro della zona era assicurato da una cura particolare che gli abitanti riservavano a quella parte di città che coincideva con un pezzo importante della loro vita. Il giorno in cui le cose cambiarono, piovve dalla mattina alla sera…” Il Civico numero 27 custodisce molte vite ed è testimone delle loro storie. A volte getta un’occhiata fugace alla famiglia Corrao del terzo piano, di tanto in tanto scorge la signorina Sarcone del primo, intravede lo scorbutico signor Russo del quarto, oppure sbircia i coniugi Passalacqua del quinto. È un romanzo pieno di colori, ricco di sentimenti e popolato da figure in cerca di se stesse.
Vi accade mai di guardare un palazzo, magari di fronte la vostra finestra, e chiedervi chi vi abiti e come viva? A me sì. Non solo, ho notato che mi spingo oltre, mi piace osservare i balconi che si affacciano all’interno, quelli della cucina. Considerarne il disordine, raramente l’ordine. Notare biciclette pronte ad arrugginire, piante secche o erbe aromatiche, bacinelle di plastica cotte dal sole. Tutto ciò che vedi ti dà la sensazione di conoscere le aspirazioni e i sentimenti di persone solo intraviste, spesso mai conosciute. Fai film sulle loro vite, dai giudizi e hai certezze che puoi solo immaginare.
Leggere Civico numero 27 ha soddisfatto il mio desiderio di sbirciare dentro le case altrui, più esattamente dentro le vite altrui. Due famiglie spiccano sulle altre, hanno un piacevole rapporto d’amicizia, condividono esperienze, gite al mare, pensieri ed emozioni. Gli adulti vivono la loro realtà di cinquantenni alle prese col decadimento fisico e psichico unito all’altalenante desiderio sessuale decisamente prorompente in alcuni, assopito in altri. Gli adolescenti subiscono i disagi comuni ai giovani, quella tristezza che li prende nel sentirsi inadeguati, i conflitti continui con i genitori, sentire forte il desiderio di scappare da tutti e da tutto con la speranza di trovare le soluzioni a problemi gravi e reali per loro, ridicoli e inesistenti per gli altri.
Inoltrandoti nella lettura ti accorgi che sono molto ben spiegati i pensieri, i timori, le gioie e i desideri di ognuno, tanto da ritrovare nei personaggi qualcuno dei tuoi conoscenti, se non addirittura te stesso. Stai guardando il tuo mondo allo specchio, per questo motivo senti il disagio di spiarli. La signorina pudica, il signore che sa tutto di tutti, l’immancabile pettegola, l’appartamento dal quale esce un tanfo insopportabile e quello che ti fa ingrassare solo sentendo l’odore del cibo che vi cucinano.
Vedi le debolezze, i fallimenti, le aspirazioni, i pensieri nascosti e quelli manifesti: il figlio piccolo che si vorrebbe proteggere al punto che quasi se ne bloccherebbe la crescita, quello già adolescente che scappa al controllo genitoriale, la voglia di riconquistare il proprio partner o quella prepotente di una relazione extraconiugale appagante più di quella col coniuge. Le liti in famiglia, i conflitti interminabili, i separati in casa. Le liti in condominio, i conflitti interminabili (in fondo il condominio è una famiglia più grande), non salutarsi più. E poi, la vita giù in strada, i negozi che conosci, il parcheggio difficile, il fruttivendolo amico? Abile? Gentile? La morte dietro l’angolo, i giudizi affrettati…
Poi, di colpo, hai la sensazione che la lettura diventi surreale, come se il lettore si addormenti passando dalla vita concreta della narrazione ad una vita che si trasforma via via in assurda nel sogno, leggi di gente che dorme sui gradini della scala, che pulisce verdura davanti al portone, che riposa su una sdraio tra le macchine posteggiate. Questo passaggio di scrittura che ti dà la sensazione di passare dalla realtà all’inverosimile è talmente piacevole che io lo considero il punto focale del racconto.
Ti fa capire quanto meravigliosa sia la vita, come sia facile vivere sognando e sognare vivendo. Quanto i problemi siano comuni a tutti e non siano risparmiati i facoltosi e nemmeno i belli, sia fisicamente che moralmente. Siamo tutti sulla stessa barca, abbiamo tutti gli stessi desideri. Arriva per tutti il momento di fare il bilancio della propria vita e non necessariamente davanti alla morte. Considerare se le scelte fatte siano state le migliori, non agli occhi degli altri, per noi stessi. Decidere se urlare in quel momento questa frase “Vaffanculo, bastarda vita di merda”. Io no. Io non urlerò contro la vita, io penserò al piacere di saltare i gradini delle scale a tre a tre, al senso di libertà che mi dà il poterlo fare da tutta una vita, prima fisicamente, oggi metaforicamente. Grazie Sandro per gli spunti di riflessione che mi hai regalato.