Il quindicenne Kafka, deciso ad allontanarsi dal padre e dalla sua profezia, lascia Tokio diretto a Takamatsu. Nello stesso tempo anche il vecchio Nakata è in fuga perché si è macchiato di un delitto che ha compiuto contro la sua volontà. Le vite dei due protagonisti non tarderanno ad incrociarsi…
Murakami ha il pregio di immergere in un mondo ai confini del reale, dove lo spazio e il tempo perdono il significato propriamente riconosciuto, dove il sogno e la veglia diventano un tutt’uno, confondendosi. Il lettore, se a primo acchito resta straniato, capendo l’antifona, si lascia trascinare e travolgere da tutte queste immagini fuori dal normale, da questo mondo favolosamente irreale.
In Kafka sulla spiaggia, i due protagonisti sono legati da un filo sottile che li porta l’uno sulla strada dell’altro pur senza conoscersi né capendo cosa li spinga ad andare avanti. Una sorta di romanzo di formazione quindi, dove il giovane Kafka e il vecchio Nakata devono compiere il destino che è scritto per loro e che si compirà a prescindere dalle rispettive volontà.
Qualche volta il destino assomiglia a una tempesta di sabbia che muta incessantemente la direzione del percorso. Per evitarlo cambi l’andatura. E il vento cambia, per seguirti meglio. Tu allora cambi di nuovo, e subito di nuovo il vento cambia per adattarsi al tuo passo. Questo si ripete infinite volte, come una danza sinistra col dio della morte prima dell’alba. Perché quel vento non è qualcosa che è arrivato da lontano, indipendente da te. È qualcosa che hai dentro. Quel vento sei tu. Perciò l’unica cosa che puoi fare è entrarci, in quel vento, camminando dritto, e chiudendo forte gli occhi per non far entrare la sabbia.
E in mezzo a tanto mistero e visioni surreali, anche qualche inusuale riferimento alla mitologia greca: il mito di Edipo, che uccide il padre e giace con la madre (in questo caso anche con la sorella), è il filo conduttore che spinge Kafka ad allontanarsi da casa e a opporsi alla profezia.
Il lettore non si chiede mai quale sia la logica di quanto vede accadere tra le pagine ma è come sospinto da una forza oscura – come Nakata, d’altronde.
Ma veniamo a cosa non mi ha convinto. Murakami è uno scrittore che mi piace parecchio, nonostante il suo sia un genere non propriamente nelle mie corde; la sua dote è quella di far credere che i pesci possano davvero cadere dal cielo, che si possa parlare con un fantasma (persino farci l’amore) o entrare in contatto con soldati che hanno combattuto una guerra finita decenni prima.
Eppure negli ultimi romanzi che ho letto (L’uccello che girava le vite del mondo e Dance dance dance) ho trovato che l’autore si dilunghi oltremodo su dettagli non così indispensabili e che certe trovate non siano proprio una novità per chi lo segue da anni – sono lontani, ahimè, i tempi in cui non avrei cambiato una riga di 1Q84!
Insomma, un buon Murakami ma non il migliore…