In un periodo molto delicato nella vita di una donna – i cinquant’anni, la menopausa, le vampate di calore, il corpo che ha i primi cedimenti – Heleen si trova a dover fare i conti con il passato, rivalutando la freddezza che la madre ha sempre avuto nei suoi confronti e, allo stesso tempo, deve imparare a gestire e accettare le scelte (per quanto sbagliate) della figlia.
Con questo Mentre mio figlio fa l’amore sono al mio secondo romanzo della Dorrestein e siamo, per così dire, alla resa dei conti. Il primo, Album di famiglia è senza dubbio uno dei libri più dolorosi e angoscianti che abbia mai letto, un vero pugno allo stomaco. La Dorrestein è una scrittrice che scrive in modo fluido e diretto e non ti fa rendere conto del tempo che passa, ma arriva così nel profondo da stordire.
Nel precedente romanzo è un’improvvisa rivelazione a trasformare un buon libro in una storia splendidamente dolorosa ed emotivamente indimenticabile. Ed è proprio quella epifania che tanto ho aspettato in questo Mentre mio figlio fa l’amore: un risvolto così travolgente da farti dimenticare una prima parte non particolarmente brillante. Invece si esaurisce così, in un “niente da dichiarare” perché la lettura è piacevole sì, ma niente di più.
La storia è incentrata tutta sul duplice rapporto tra madre e figlia di cui la protagonista, Heleen, è il centro focale: quello con la madre anziana e ormai mentalmente instabile e quello con Lizzy, la figlia adolescente. Tre generazioni a confronto – anche se un confronto diretto e chiarificatore non avviene mai.
Qua e là si incontrano riflessioni sul tempo che passa, sulle aspettative disilluse, sui progetti non realizzati, ma sono temi affrontati con un pizzico di distacco, in modo quasi freddo, non sentito, non emotivamente coinvolgente.
Peccato che a diciotto anni non la capisci questa frase così semplice: “La vita davanti”. Hai un rapporto col tempo alterato. Drogato di false distrazioni aberranti. C’è una prospettiva di infinito, nel diciottenne, che si può tranquillamente considerare uno dei più consistenti crimini dell’umanità. […] La porca verità è che capisci cosa significa avere la vita davanti quando quella si è posizionata tutta dietro. Semplice come la sete. E allora l’uomo si moltiplica, diventa una folla di rimpianti. Ma questo non smuove le vite, le svaluta solo un altro poco. Le accompagna, con una lieve, elegante spinta di una mano da maggiordomo, verso il cimitero affollato di cadaveri esperti.
Se poi vogliamo fare un appunto sul titolo… In tutto questo, il figlio di cui sopra non compare mai, non una telefonata ai genitori, non un episodio del passato in cui sia centrale; non fa parte della storia ma si è conquistato il posto d’onore sulla copertina del libro.
Purtroppo devo liquidare questo romanzo come una lettura di poco spessore, di quelli che leggi con piacere ma che dimentichi a poche ore dalla chiusura dell’ultima pagina. Peccato!