Corinne e Michael hanno coronato il loro personale sogno americano: il loro amore è solido, i loro quattro figli si adorano, l’azienda di famiglia va a gonfie vele e la loro fattoria è una specie di paradiso terrestre. Ma nel giorno di San Valentino succede “la cosa” e la loro vita non sarà più così invidiabile.
La Oates è una a cui piace rimestare nel torbido, specie se questo è nascosto dietro una facciata di perbenismo, di rispettabilità, di buone maniere, di ritualità cristiane. Insomma, se c’è del marcio dietro alla facciata, state certi che lei riuscirà a scovarlo.
E l’ha scovato eccome, in questo Una famiglia americana. I Mulvaney sono una famiglia unita, allegra, benvoluta. Non una famiglia qualunque, ma la famiglia perfetta, che vive una vita perfetta, nella fattoria perfetta. Il primo dei cinque capitoli in cui è suddiviso il romanzo è tutto incentrato a dipingere questa perfezione, ma qualche breve frase, poco più di un accenno, lascia trasparire che qualcosa è successo, che una tragedia sta per irrompere in quella perfezione travolgendo tutto e tutti.
Mamma non sa e spero non saprà mai che due dei suoi figli sono stati coinvolti in un crimine di estrema gravità. Sarò esplicito con voi: sono stato complice di due reati punibili con lunghi periodi di detenzione nello stato di New York e sono quasi arrivato a essere complice, prima e dopo il fatto, di un omicidio, e con ogni probabilità non mi sarei pentito se l’omicidio fosse stato commesso.
Ad un certo punto, tutti quei vezzeggiativi – Germoglio, Fossetta, Fischietto, Belfaccino, Pizzicotto – stridono in un contesto dove la serenità di una famiglia è indelebilmente incrinata: il lettore lo capisce e si prepara all’inevitabile; i protagonisti invece no, continuano a cinguettare felici, ignari di tutto. Del male è stato fatto a una di loro: la vittima è la splendida Marianne, una ragazza dolce e attenta ai bisogni degli altri, bella da togliere il fiato, cheerleader nella squadra della scuola, circondata da spasimanti senza accorgersi del proprio fascino, ammessa alla corte della Reginetta di San Valentino.
La Cenerentola al suo primo ballo non sa che quella sera cambierà il mondo così come l’ha conosciuto nella sua giovane vita da sedicenne. Un “incidente” innominabile, “la cosa”: è così che da quel momento si parlerà di quanto è successo.
E a quel punto i Mulvaney non saranno più la famiglia perfetta e neanche una famiglia; ognuno con il proprio dolore, con la rabbia e l’impotenza di dare un senso a tutto ciò. I figli maggiori lontani da casa, da High Point Farm, e i genitori in una lenta ma inesorabile discesa verso l’inferno.
Senti Judd, nostro padre è solo una vittima. È una di quelle rane che finiscono morte senza sapere cosa sia successo, dopo che la loro vita è stata risucchiata da un gigantesco ragno acquatico.
Resta Judd, il più piccolo, il narratore di questa storia, costretto a guardare impotente la disgregazione della loro realtà familiare.
Tutto quell’orgoglio che avevamo a casa, e l’ansia. Non che ce ne rendessimo conto, nemmeno mamma e papà. Anzi, loro meno di tutti. Appena me ne sono andato ho scoperto quanto sia grande il mondo. Devi solo riposizionarti. Il dove è momentaneo. Ti sposterai.
Finale un po’ sbrigativo e che non mi ha convinto; ma, per il resto, è davvero sorprendente la caratterizzazione psicologica di tutti i personaggi, ricostruita anche attraverso numerosi flashback.
Ultima nota: non si offenderà la Oates se dico che è un tantino logorroica! Cento pagine di meno avrebbero alleggerito un po’ la trama senza nulla togliere alla resa complessiva del romanzo.