Joan, guardarobiera di teatro, è da poco rimasta vedova di un famoso attore ma crede che lo spirito del marito si sia in qualche modo reincarnato nel giovane Daniel, suo sostituto sul palcoscenico. Già molto turbata per questa scoperta, dovrà anche aprire gli occhi sulla natura segreta di suo marito Charlie.
Nel suo ultimo romanzo, La guardarobiera, Patrick McGrath mette in scena il dramma di una donna che deve sopravvivere alla perdita di un marito e fare i conti con la scoperta che ne deriva.
La storia è ambientata nel 1947: la guerra ha lasciato strascichi pesanti, la carenza di cibo, le tende nere per oscurare le finestre, la scarsità di carbone per scaldare tutte le stanze di casa. Ma è soprattutto l’eredità psicologica che grava sui sopravvissuti: i ricordi tormentati dei blitz, la paura di essere scoperti e deportati e fare la fine di tanti ebrei uccisi e, non ultimo, la possibilità che quel passato torni a rovinare di nuovo tutto. Da qui la forza d’animo di prendere in mano la propria vita e, nonostante i rischi, di buttarsi nella mischia e passare alla controffensiva.
Questa è la cornice di una tragedia familiare che si compirà in un misto di lucidità e delirio, tra fantasmi del passato che tornano a infestare le stanze e visioni inquietanti che stravolgono la psiche.
La tensione di queste pagine è tutta giocata sul confronto tra realtà e finzione – non solo quella rappresentata sul palcoscenico ma anche quella che si è costretti a recitare nella vita, impersonando un personaggio che ha valori opposti ai propri.
Di certo la sorprendente trovata sta nell’aver scelto come narratore una presenza esterna che assiste alla scena senza essere considerato. Sono le donne del coro a raccontare, a volte seguendo il filo cronologico dei fatti, altre riportando aneddoti del passato, e di tanto in tanto aggiungendo delle considerazioni che loro, da attente osservatrici, hanno maturato nel tempo.
Noi sapevamo a che cosa stava pensando, a Gricey naturalmente, che aveva nascosto un segreto per tutto quel tempo e Joan praticamente l’unica a non saperlo perché nessuna voleva essere quella che glielo diceva. A che scopo dirglielo del resto? Lo avrebbe subito riferito a lui.
Un libro che si fa leggere ma che – devo ammettere – non è all’altezza di Follia né degli altri romanzi successivi, sia perché la scrittura non è poi così fluida (anzi!) sia perché i filoni narrativi sono parecchi e non tutti così necessari. Peccato!