Nadia e Saeed si incontrano, si frequentano e si innamorano in una città senza nome dove la guerriglia armata si avvicina inesorabilmente, rendendo ogni giorno più difficile ai due giovani potersi amare liberamente.
Ho terminato Exit West da qualche giorno e ho avuto bisogno di lasciar passare un po’ di tempo per metabolizzarlo perché, ammetto, il mio non è stato un colpo di fulmine.
Il viaggio di Nadia e Saeed è il viaggio di tanti libici, pakistani, israeliani, palestinesi e quanti cercano la salvezza e un futuro migliore lontano dalle loro terre d’origine. Nella realtà, questi disperati viaggiano su improbabile gommoni, sui barconi affollati o stipati nel retro dei furgoni.
Mohsin Hamid invece immagina di farli muovere attraverso porte magiche che trasportano in realtà lontane. Questo espediente permette di trattare un tema così delicato con un tono serio ma con un pizzico di magia.
Ma se da una parte il tema centrale è l’amore tra Nadia e Saeed, dall’altra è proprio la guerra il fattore che fa da collante alla loro storia. Tra posti di blocco, improvvise esplosioni, droni ed elicotteri che sorvegliano la zona, persone amate che muoiono o spariscono nel nulla, il loro amore sembra essere l’unica ancora di salvezza. Il loro stringersi diventa quasi un antidoto alla distruzione e alla morte che li circonda, un’aggrapparsi tenacemente alla vita.
Prima nella città sotto assedio e poi in fuga a Mykonos, Londra e San Francisco, soli in mezzo a milioni di altri profughi come loro, si sentono l’uno responsabile dell’altro e devono portare il peso di chi hanno abbandonato in patria, perché quando emigriamo assassiniamo coloro che ci lasciamo alle spalle.
Lo stato di prostrazione in cui si trovano a vivere i due protagonisti – non dissimile da quello che provano i migranti d’oggi – può unire, ma può anche dividere. L’incertezza per il futuro, la lotta quotidiana per la sopravvivenza e la resistenza passiva contro chi vuole rastrellare la propria terra dai tanti, troppi esuli, sono tutti fattori che minano giorno dopo giorno la loro stabilità emotiva.
… sosteneva la necessità che i migranti si coalizzassero in base ai loro principi religiosi, ignorando qualunque divisione di razza, lingua o nazione, perché quelle divisioni non contavano più in un mondo pieno di porte, e adesso l’unica divisione che contava era quella fra chi perseguiva il diritto al passaggio e chi lo voleva negare, e in un mondo come quello la religione dei giusti doveva schierarsi dalla parte di chi perseguiva il diritto al passaggio.
Stilisticamente Exit West è un libro molto evocativo, in cui la scrittura asciutta rende alcuni passaggi non sempre chiarissimi. Ma ciò che resta, chiusa l’ultima pagina, è la sensazione di aver letto un testo attualissimo che, dietro all’originalità dell’espediente narrativo, parla di una realtà in forte crescita.