Un pomeriggio d’estate Roberto Alajmo incontra la madre in una strada di Mondello. Non può immaginarlo, ma quello è un addio. «Cos’abbia fatto lei, nei tre mesi successivi, ancora oggi non lo so. È oggetto della presente indagine».
Mi accingevo ad attraversare la strada in un pomeriggio invernale di quelli sereni senza pioggia e poco ventoso, come spesso accade a Palermo, quando vidi sfrecciare davanti a me Roberto Alajmo in sella alla sua bicicletta.
Mi fermai ed il mio sguardo lo seguì finché fu visibile. Pensai che avesse un’aria serena e mi stupì non poco questa riflessione in quanto ogni qualvolta ci siamo incontrati l’ho visto sempre sereno e sorridente. Avevo seguito la presentazione del suo ultimo libro L’estate del ’78 per cui ero a conoscenza della trama. Nei giorni che seguirono lo acquistai. Lo posai sul comodino, ma non mi decidevo a leggerlo; lo portai in viaggio con me… lo riposai sul comodino al rientro.
Per parlare del suicidio della madre, pensai, ci vogliono le palle; farlo senza cadere nel pietismo ancora di più. Perché scriverci un libro? Finalmente lo presi e iniziai a leggerlo.
La scrittura piacevole mi coinvolse a tal punto da non accorgermi del passare del tempo, impiegai poco più di un paio d’ore per terminarlo e molti giorni per metabolizzarlo.
Non è un racconto crudo, affatto. È pieno di sentimenti. È bellissimo l’intreccio delle generazioni con i confronti padre/figlio. È difficile parlare della trama perché è piena di eventi e allo stesso tempo di emozioni indescrivibili che coinvolgono il lettore dandogli la sensazione di essere partecipe di una confidenza talmente privata da non riuscire a discuterne.
Ora oso dire qualcosa che può suonare stridula considerando che la narrazione ruota intorno alle dinamiche del suicidio di una madre: questo libro è stupendo perché permette all’autore e a tutti i familiari ancora in vita e anche a chi lo legge di riuscire a raggiungere uno stato di calma. Quando si scrive qualcosa di terribile che ci ha segnati è come trasferirla al di fuori della nostra mente, così da poterla guardare con un occhio diverso tanto che alla fine si riesce a fare autoanalisi.
La stessa cosa accade al lettore che, sebbene non abbia subito lo stesso travaglio, trova tra le righe qualcosa che lo riguarda e riesce dapprima a far sua l’angoscia provata ma subito dopo a sentirsi libero.
Alla fine di questo mio commento tengo a ringraziare di cuore Roberto Alajmo per aver condiviso con noi lettori questo periodo della sua vita. Concludo dicendo che non si meravigli se dovesse vedersi abbracciato o salutato per strada da perfetti sconosciuti perché, chiunque leggerà L’estate del ’78 lo sentirà come uno di famiglia Non se ne può fare a meno. Da me, il più forte degli abbracci.