Jacob è un ragazzone di 18 anni affetto da Asperger. Un giorno la sua insegnante privata a cui è molto affezionato viene trovata morta e da subito è evidente il coinvolgimento del ragazzo.
Le case degli altri è un libro ipnotico, come ipnotico è il suo protagonista, Jacob, un diciottenne con la sindrome di Asperger che con i suoi atteggiamenti irrita e intenerisce allo stesso tempo.
Come già nei romanzi precedenti, Jodi Picoult punta il suo obiettivo su una malattia rara e sulle condizioni che questa provoca nella vita di tutti coloro che ne sono coinvolti, offrendo il punto di vista di ciascuno di loro.
Jacob è un personaggio tutto da scoprire, dolorosamente consapevole dei suoi limiti e in perenne difficoltà ad approcciarsi agli altri, a capirne i comportamenti, a “sentirne” le emozioni.
Ecco dove vado quando vado via:
In un posto dove il mio corpo diventa un pianoforte che ha soltanto i tasti neri: diesis e bemolle, mentre tutti sanno che per suonare una canzone che gli altri abbiano voglia di ascoltare c’è bisogno anche di qualche tasto bianco.
Ecco perché ritorno.
Per trovare quei tasti bianchi.
Altrettanto emozionanti sono le pagine in cui noi lettori scopriamo le reazioni rabbiose del fratello Thor alle numerose mancanze dei genitori: non solo non lo giudichiamo mai, ma siamo comprensivi con lui anche quando esprime il suo malessere usando frasi emotivamente forti. Come pure gli si perdona l’ossessione di spiare le case degli altri, le vite degli altri, così normali e serene perché senza un fratello autistico da accudire continuamente.
Ma sono i capitoli in cui è la madre Emma a prendere la parola che sono la vera arma vincente di questo romanzo. In essi si leggono le difficoltà e la fatica di crescere un bambino autistico, ma soprattutto l’amore immenso che la fa andare avanti giorno dopo giorno, combattiva come una guerriera col solo scopo di garantire al figlio una vita normale. Verrebbe voglia di bussare alla sua porta solo per dimostrarle un po’ di comprensione e di solidarietà.
È impossibile spiegarlo a una madre che non abbia un figlio autistico: ovviamente io amo mio figlio. Ovviamente non vorrei mai una vita senza di lui. Ma questo non significa che non mi sento esausta ogni minuto della giornata. Che non mi preoccupi del suo futuro, e di non avere un futuro per me. Che a volte, sfuggendo al mio stesso controllo, io non immagini come sarebbe stata la mia vita se Jacob non avesse avuto l’Asperger. Che, come Atlante, io non pensi almeno per una volta che sarebbe bello se qualcun altro reggesse il peso del mondo della mia famiglia sulle proprie spalle, al posto mio.
Ancora una volta nella storia letteraria dell’autrice, è una vicenda giudiziaria a fare da collante, e poco importa che sia facilmente intuibile da subito cosa abbia causato la morte di Jess, e ancora meno importante che la strategia processuale dell’avvocato difensore faccia acqua da tutte le parti. Ciò che conta è l’aspetto umano delle persone sedute al banco degli imputati.
Trovo che la Picoult abbia uno stile così scorrevole che letteralmente travolge il lettore, alternando momenti empatici, battute di spirito e un pizzico di suspense.
Chiusa l’ultima pagina, la sensazione che ti pervade è la nostalgia per questo ragazzone di un metro e ottanta e per la sua coraggiosissima mamma.
Bello, davvero un libro toccante.