Purity, detta Pip, non conosce molto delle sue origini: la madre ha cambiato identità e non le ha mai rivelato l’identità del padre né i motivi che li ha fatti separare. È il bisogno di sapere chi è che spinge Pip ad andare in Sud America e, in seguito, a Denver.
Purity, ultima creazione di Jonathan Franzen, è un romanzo complesso, strabordante di fatti, di caratteri, di scelte di vita sofferte e cariche di significato.
Ad ogni capitolo Franzen presenta personaggi nuovi, li analizza non lesinando particolari episodi del loro passato e scavando nella loro psiche così da darne un’immagine a tutto tondo.
Tanti personaggi, dunque, ma l’autore inizialmente non spiega il legame che hanno tra loro o con la protagonista e ciò provoca un effetto straniante e destabilizzante nel lettore, che deve attendere per capire quanto e in che modo c’entrino con il filone centrale della storia. Ma poi l’intreccio prende forma e ti ritrovi risucchiato in una vicenda assurda quanto intrigante.
Franzen riporta a galla storie di sofferenza adolescenziale, di amori travolgenti destinati all’infelicità, di segreti custoditi gelosamente per anni.
A conti fatti, si può dire che non c’è un solo personaggio che sia normale nell’accezione più generale: sembrano tutti autolesionisti che, cercando di fare la cosa giusta, fanno soffrire e soffrono a loro volta. Le loro sono personalità disturbate: madri problematiche, padri fantasmi o affettivamente distanti, mogli nevrotiche e mariti imprigionati in un rapporto claustrofobico e non soddisfacente ma restii ad abbandonare il tetto coniugale.
Il nodo centrale è tutto qui, nella difficoltà di creare rapporti duraturi che non conducano all’autodistruzione.
Era facile incolpare la madre. La vita era un’infelice contraddizione, desideri infiniti ma scorte limitate, la nascita come biglietto per la morte: perché non dare la colpa alla persona che ti aveva appioppato la vita.
Non fa eccezione la protagonista, Pip, che di problemi ne ha per due e aprire il vaso di Pandora sulle sue origini non potrà che avere effetti devastanti sul rapporto interpersonale con gli altri, dato che dolore e ripugnanza sembrano le conseguenze probabili di una relazione.
Franzen ha uno stile incredibile, una penna così fluida e avvolgente che anche quando si dilunga con descrizioni forse superflue il lettore resta intrappolato tra le sue pagine.
Se Le correzioni mi aveva spiazzato, lasciandomi con qualche perplessità perché non in linea con il canone di romanzo a cui ero abituata e Libertà mi ha aiutato ad entrare nel modus operandi di Franzen, con Purity ero senza dubbio più consapevole del suo stile. Sarà per questo che ne sono rimasta incantata e mi ha tenuto sospesa per tutta la narrazione, senza accusare quei cali di attenzione che di tanto in tanto mi erano capiti con le precedenti opere.
Nel mio bilancio personale, quindi, Purity entra di diritto tra le migliori letture degli ultimi anni.
Jonathan Franzen
Purity
Einaudi, 2016
pp. 642