Quando Camille ottiene l’incarico di indagare su una rapina nella gioielleria di passage Monier, sa già che la vittima è Anne Forestier, la sua donna, e non può rischiare che i colpevoli la facciano franca. Vuole essere lui a mettere le mani su colui che ha infierito su di lei mentre era già in fin di vita, ma scoprirà che dietro alla rapina c’è qualcosa di più grave, di più macchinoso.
Il terzo episodio della trilogia di Pierre Lemaitre, Camille, vede ancora come protagonista il commissario di polizia più basso della storia dell’investigazione.
Se Alex è un capitolo a sé – pur citando fatti e persone già presenti nel primo capitolo, la storia procede su un binario tutto suo –, la lettura di Camille non può prescindere da quella del precedente Irene. Anzi di più, sembra la sua naturale conclusione. Tornano infatti personaggi emblematici del primo volume ed è difficile raccapezzarsi se non si conosce l’antefatto.
Parlo per cognizione di causa: non avendo letto Irene, non mi era affatto chiaro dove il protagonista Camille Verhoeven stesse orientando le sue indagini, e le sue proverbiali illuminazioni destabilizzano non poco per chi quei nomi non sa dove collocarli nel quadro generale.
Anche se l’autore ha cercato di fare un riepilogo delle puntate precedenti, la manovra riesce forzata e surreale, ed è solo con le spiegazioni finali che ci si fa un’idea più chiara – più chiara, ma non perfettamente esauriente.
Anche stavolta c’è una donna da salvare, Anne, ma non una donna qualsiasi ma la nuova amante di Camille che, a quattro anni dalla perdita della moglie Irene, ha ritrovato la gioia di vivere e di amare.
Eppure ancora una volta dietro a questa sparizione si celano un’infinità di interrogativi. Chi vuole a tutti i costi uccidere Anne e perché ha preso di mira proprio lei? Ma, soprattutto, chi è realmente la donna con cui il commissario ha diviso il letto?
Avrebbe potuto essere un’altra donna, si dice, invece è lei, Anne. Nella sua vita come nel passage Monier. Perché lei e non un’altra? Mistero.
Ampiamente rodato è anche il meccanismo di narrazione che alterna i punti di vista di coloro che sono coinvolti in questa caccia all’uomo: in primis, quello del commissario Verhoeven con il bagaglio di supposizioni, di ricordi e di interrogativi da sciogliere; poi quello di Anne, che sa di essere in pericolo di vita; infine quello del suo inseguitore, di cui non si conosce l’identità.
Come al solito la soluzione arriva nelle ultimissime pagine ed è l’intuito di Camille a rimettere a posto tutti i tasselli.
Ad ogni modo, per me, un thriller buono, ma non perfettamente chiaro e comunque decisamente privo di quella tensione adrenalinica che si respira in ogni pagina di Alex.