Theo è solo un ragazzino quando rimane coinvolto in un attentato terroristico: è con sua madre in un museo d’Arte quando esplode una bomba e lui, mettendosi in salvo, porta via d’impulso un famoso quadro del ’600, Il cardellino appunto. Sua madre resta uccisa e per Theo inizierà una vita fatta di solitudine e dolore. E sarà proprio quel quadro che gli consentirà di incontrare qualcuno a cui legarsi profondamente… ma che lo porterà anche a confrontarsi con una realtà violenta e pericolosa!
Un anno di attesa, un anno in cui ho sentito parlare solo positivamente di questo libro. A chi voleva prestarmelo rispondevo: ‘No grazie. Ci tengo ad averlo’ però poi, per un motivo o per l’altro, non mi decidevo a comprarlo. È passato un anno e alla fine ho ceduto: l’ho chiesto in prestito. E tutto sommato è andata bene così.
Questa premessa può far pensare che questo sia un brutto libro. Iniziamo col dire che non lo è… ma non è neanche il capolavoro che mi aspettavo di leggere – mi succede spesso quando le aspettative sono a mille!
Il cardellino è un romanzone di oltre 800 pagine che però non mantiene alta l’attenzione per tutta la mole che si porta dietro. In altre parole, picchi di alta letteratura (direi quasi sublime) si alternano a passaggi molto più lenti e infinitamente più noiosi.
Commovente e profondamente incisiva la prima parte: la sofferenza di Theo per la scomparsa della madre e il tentativo di trovare un posto nel mondo ne fanno quasi un romanzo di formazione vecchio stile. Non una parola di troppo, non un tono fintamente lacrimevole: semplicemente impeccabile.
Il cuore non si sceglie. Non possiamo obbligarci a desiderare ciò che è bene per noi e per gli altri. Non siamo noi a determinare il tipo di persone che siamo.
Poi nella parte centrale, si perde quell’empatia col protagonista; a volte lo segui con passione, altre lo vorresti mandare da solo in giro per le strade malfamate di New York. La parte finale invece si trasforma in un romanzo d’avventura, un thriller avvincente ma troppo, troppo denso. C’è tutto: la malavita, la droga, il contrabbando, la sparatoria.
Ci sarebbe materiale per due bei romanzi. Invece Donna Tartt ne ha fatto un unico polpettone tra il sentimentale e il catastrofico. Chi sono io per bocciare un premio Pulitzer? Nessuno. Eppure mi resta l’impressione che in certi punti sia troppo tirato per le lunghe e che con 200 pagine in meno avrebbe colpito maggiormente nel segno!