Jake Epping, un semplice professore di inglese del Maine, viene coinvolto dal suo amico Al in un’avventura fuori dal comune: tornare nel passato, attraverso una misteriosa tana del coniglio, e sventare l’omicidio di Kennedy.
È con un filo di vergogna che confesso che questo 22/11/’63 è il primo libro che leggo di Stephen King e non posso che ritenermi conquistata dal genio di questo scrittore. Mai avrei pensato di trovarmi di fronte a un romanzo così completo. C’è tutto in queste pagine: avventura, intrighi, una storia d’amore e di amicizia. E c’è, ovviamente, il tema del viaggio nel tempo che di per sé basta a creare un’aura di fascino e di mistero.
Eppure, se lo scopo dichiarato è quello di fermare Oswald prima che il suo proiettile colpisca il presidente, i cinque anni che Jake (alias George Amberson) trascorre nel passato sono densi di avvenimenti, di incontri importanti, di persone speciali che contribuiscono a rendere la storia indimenticabile.
Il libro è nel suo insieme davvero magnetico e ti cattura dall’inizio alla fine grazie ad un filo conduttore di suspense che cresce nelle duecento pagine conclusive.
Non posso dire che in 767 pagine non ci siano dei cali di attenzione e qualche descrizione poteva essere tagliata via senza compromettere minimamente la resa finale. Ma a Stephen King si può perdonare questo e altro.
Quello che invece mi sento di sottolineare è la perfetta resa scenica, la ricostruzione dell’ambientazione scenica dell’America degli anni Sessanta: non solo dal punto di vista urbanistico con tutte quelle villette a schiera con il giardinetto di fronte, o i sobborghi più poveri nella periferia di Dallas, ma è la cura nella descrizione dei modi di fare e di pensare, dei comportamenti, delle musiche (i balli per esempio riempiono alcune pagine memorabili), dei modi di pensare e di parlare.
Sembra di essere dentro alla storia, una storia a colori ma dalle tinte un po’ sbiadite come erano sbiadite le immagini che passavano nelle trasmissioni televisive e quelle delle foto di quegli anni.
Quella non era più la realtà come io la percepivo: gli eventi sono fragili, vi dico, sono castelli di carte, se mi fossi avvicinato a Oswald (per non dire se avessi cercato di dissuaderlo dal commettere un crimine che non aveva ancora in mente), avrei perso il mio unico vantaggio. La farfalla avrebbe spiegato le ali, e la vita di Oswald sarebbe cambiata.
All’inizio sarebbero stati piccoli cambiamenti, forse, ma come dice la canzone di Springsteen, da piccole cose, baby, un giorno ne nascono grandi.
Insomma l’avventura di Jake/George affascina perché in fondo chiunque vorrebbe fare un giro esplorativo nel passato e la frenesia di capire se questo viaggio avrà ripercussioni sulla Storia ti spinge a leggere col fiato sospeso fino all’ultimo. Salvo poi chiedersi: cosa avrei fatto io al posto suo?