Anne Bacon, novella sposa dell’ufficiale Prospero de Vignon, è in viaggio verso il Piemonte dove il marito la aspetta per iniziare la loro vita da coniugi. Disgraziatamente però contrae il vaiolo che la lascia viva ma orrendamente deturpata. Al suo arrivo, l’indifferenza di Prospero e la freddezza del suocero Casimiro le aprirà gli occhi su quale destino l’aspetta lontano dalla sua patria.
Tra i finalisti del Premio Strega 2019 c’era anche lui, Il rumore del mondo di Benedetta Cibrario, forse passato un po’ troppo in sordina quando invece merita davvero.
Il romanzo è un monumentale racconto dell’Italia non ancora unita della prima metà dell’Ottocento e inquadra perfettamente l’atmosfera dell’epoca rinascimentale e il clima politico di scontri tra conservatori e progressisti che chiedono a gran voce l’indipendenza dall’Austria.
“Il rumore del mondo”, come lo definisce l’autrice, è proprio questo vento di innovazione che spira da ogni angolo e che non può essere considerato un mero sfondo alle vite dei protagonisti, ma è esso stesso protagonista. Ecco perché è impossibile scindere le vicende personali dei protagonisti dalla realtà socio-politica in cui sono calati.
L’autrice non manca di tratteggiare con dovizia di particolari gli animi dei personaggi principali, non solo quelli di Anne e Prospero – il quale a dire il vero è quello meno approfondito – ma anche del burbero Casimiro che poco alla volta si affezionerà alla giovane nuora; del giovane Enrico Verra che si improvvisa imprenditore; della signora Theresa Manners grazie alla quale la Cibrario avrà modo di approfondito il tema del viaggio, inteso non solo come spostamento fisico da un luogo a un altro ma come percorso di crescita interiore. Più in lontananza, ma vivida tramite le lettere che Anne scambia con la sorella Grace e con il padre, si avverte la presenza di un’Inghilterra moderna, fonte di ispirazione per un Piemonte in via di rinnovamento.
Anche se non sempre le scelte della protagonista trovano il consenso del lettore, è lei il fulcro della narrazione, o comunque il punto di congiunzione tra tutti i personaggi. Tra nostalgia di casa, rimpianti e rancori che via via si assopiscono, Anne vive la sua vita in Piemonte mostrando uno spiccato senso di adattamento e di autocontrollo. Tutto ciò fa di lei un’eroina dell’Ottocento, una donna che non si oppone alle convenzioni sociali ma che è in grado di cogliere il meglio da quello che la sua condizione le offre, che non si abbatte e trova il modo per riempirsi la vita e renderla in qualche modo speciale.
L’altalena di stati d’ansia e di beatitudine è innocua soltanto nelle pagine di un romanzo […] Spero che Anne non coltivi dentro di sé quella pianta nociva che si chiama illusione. Poveretti coloro che l’annaffiano ogni giorno con caparbia determinazione. L’amore e il matrimonio sono due concetti appaiati per convenienza. Estranei l’uno all’altro quanto l’olio all’acqua.
Non posso dire che tra me e il romanzo ci sia stato un colpo di fulmine immediato; spesso la lentezza della narrazione mi ha rallentato nella lettura e ha fatto calare il mio interesse, salvo dopo riconquistarmi e riacciuffarmi nelle sue trame. Insomma un libro corposo, di quelli che richiedono pazienza e poca fretta, ma che sanno ripagarti al meglio a lettura ultimata perché non solo tratteggiano un quadro davvero realistico e edificante, ma soprattutto perché lasciano ampio spazio all’analisi introspettiva di tutti i personaggi.