Grazie ad una borsa di studio, Martin riesce a entrare nel prestigioso college di Burtonbury e lì conosce Ben Fitzmaurice, il classico rampollo di buona famiglia che non ha bisogno di preoccuparsi delle conseguenze delle sue azioni, tanto c’è chi paga per lui. E questo “lui” è Martin, che dopo una iniziale ammirazione per il compagno di studi, se ne innamora perdutamente.
So che la ricchezza e la classe possono manipolare, ma non avevo mai pienamente afferrato fino a che punto potesse arrivare. Il potere che ti danno è immenso. Nulla ne è immune, nemmeno la verità. In special modo la verità.
Il party, romanzo della scrittrice inglese Elizabeth Day, è incentrato sul tema delle differenze di classe e su quanto si è disposti a compromettersi per una tanto agognata accettazione altrui.
Apparentemente Martin e Ben sono amici del cuore, sempre insieme, l’uno l’angelo custode dell’altro. Ma la realtà è diversa: è Martin ad essere il protettore del compagno di studi, lo venera, lo segue, lo protegge, per lui si prende le colpe. Tutti lo chiamano “PO” – Piccola Ombra – perché è sempre lì, un passo dietro a Ben. Si sente di appartenere alla famiglia di lui, i Fitzmaurice, ma è l’unico a non accorgersi delle risatine di scherno degli altri compagni, né in età adulta di essere trattato con sufficienza, anzi con un pizzico di pietà.
A Martin basta essere nel raggio di azione di Ben per sentirsi appagato e tutta la sua vita sarà improntata a restare nelle sue grazie, spettatore silenzioso ma geloso delle scelte sentimentali dell’amico. In pratica è un moderno Martin Eden (con cui, forse non a caso, condivide il nome) che desidera ardentemente l’approvazione del suo beniamino e della famiglia di lui.
Avevo sottovalutato il potere del fascino dei Fitzmaurice. Stare attorno a gente come quella – gente ricca, privilegiata, bella, egoista – non fa bene all’anima. Pensano solo a se stessi, dando invece l’impressione di essere generosi. Non si curano di noi. Non è una cosa consciamente malvagia, ma una semplice mancanza di curiosità per le vie degli altri. […] Vogliamo essere loro e, al tempo stesso, li detestiamo per essere come sono.
Fin dalle prime pagine si intuisce che c’è un segreto che lega i due protagonisti fin dai tempi dell’adolescenza, un segreto che è il motore di questa amicizia sbilanciata, un’amicizia che nasconde un amore mai dichiarato.
La ricostruzione di quello che è successo in gioventù, ma soprattutto di quanto è avvenuto la sera del 2 marzo durante il party a cui hanno preso parte Martin e sua moglie Lucy nella nuova casa di Ben e Serena avviene tramite l’alternarsi di due punti di vista: le dichiarazioni rilasciate da Martin durante l’interrogatorio nel commissariato di Tipworth e le pagine di un taccuino che Lucy scrive seguendo le indicazioni di un analista che la prende in cura nella clinica in cui si fa ricoverare volontariamente dopo l’incidente. A queste due testimonianze si intervallano flashback della serata stessa, dove il punto di vista è ancora quello di Martin.
Il romanzo di per sé non è affatto male ed è anche scritto molto bene, benché alcuni capitoli siano un po’ troppo ripetitivi (soprattutto quelli riguardanti il passato dei due ragazzi); devo però aggiungere che non è una lettura così originale come speravo. Tanti i punti di contatto con Herman Koch, dalla figura del politico spregiudicato de La cena o del sindaco politicamente scorretto de Il fosso. È simile il modus operandi di smascheramento delle ipocrisie e delle bassezze dell’animo umano, ma onestamente non ho ritrovato quel guizzo tagliente, la spregiudicatezza nell’esprimere il pensiero più atroce, quello che non si può dire ad alta voce ma balugina nella mente (di una persona innamorata e tradita, sicuramente).
Inoltre ritengo che poteva essere sviluppato meglio il personaggio di Ben perché l’aspetto opportunistico e ipocrita della classe borghese emerge più dalla sua famiglia (in primis da sua moglie Serena) che direttamente da lui.
Critiche a parte, ho trovato Il party un romanzo godibilissimo.