L’imperatore Adriano viene inquadrato nelle fasi della sua vita, da quando era un semplice comandante alla guida dell’esercito romano per vincere la guerra contro i Parti all’ascesa al potere, fino alla consacrazione della sua potenza universalmente riconosciuta.
“Mio caro Marco”. Inizia così Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar, un romanzo pensato come un memoriale in cui l’imperatore, agli sgoccioli della sua poderosa esistenza, ripercorre le tappe fondamentali della sua carriera politica, ma soprattutto della sua crescita morale e intellettuale.
È una lunga lettera al figlio adottivo Marco Aurelio, un ragazzo di appena diciassette anni ma già destinato a reggere le fila dell’Impero, ed è qui che si sveste dei panni di imperatore e si mostra per quello che è: un uomo che ama, che soffre, che riflette sulle cose degli uomini.
Al di là dei legami istituzionali, al di là della devozione del suo popolo, sono pochi i rapporti veramente puri e scevri da interessi personali che hanno segnato la sua vita. Due quelli che ricorderà negli ultimi momenti: la relazione con Plotina, sua confidente e affezionata amica (tra l’altro, uno dei pochi esempi di amicizia tra uomo e donna nell’antichità) e l’amore per Antinoo, la cui morte ha suscitato un tale dolore da farne l’oggetto di un culto (non solo intimo ma esteso a tutto l’Impero: per lui costruirà una città e farà erigere statue col volto del giovane amante).
Sono meravigliose le ultime pagine, dove la vicinanza della morte, invece che spaventare, infonde ad Adriano una pace interiore, un disinteresse per i problemi concreti, una serenità che è propria di chi ha vissuto al meglio e, seppur scettico sul concetto d’immortalità, trova che la morte sia “la soluzione più elegante” ai problemi.
La mia anima, se pure ne posseggo una, è fatta della stessa sostanza degli spettri; questo corpo dalle mani gonfie, dalle unghie livide, questa triste carne già per metà in dissoluzione, quest’otre di mali, di ambizioni e di sogni, non è molto più solido né più consistente di un’ombra. […] La meditazione della morte non insegna a morire; non rende l’esodo più facile, ma non è questo quel ch’io cerco.
La bravura della scrittrice risiede nel fatto che lei scompare completamente, non si avverte la presenza di un intermediario tra il lettore e il personaggio. Tra le righe si sente la voce cavernosa di un vecchio malato, di un uomo che ne ha passate tante e ne porta i segni su un corpo indebolito, stanco.
Memorie di Adriano non è una lettura semplice né scorrevole. Tutt’altro. Per questo è essenziale trovare il momento giusto per apprezzarlo. Ci sono intere pagine di una lentezza esasperante e alcuni episodi potevano francamente essere accorciati, se non tagliati a piè pari. A volte viene voglia di lasciarlo (io l’ho fatto) e mentirei se dicessi che stavolta l’ho amato senza riserve, ma se si ha la costanza di proseguire e superare l’impasse, è un libro affascinante e poetico, intriso di una malinconia commovente.
One thought on “Memorie di Adriano”
Perche’ un libro come ‘L’arte della gioia’ deve restare molti anni nel cassetto prima di veder riconosciuta la sua importanza in Francia prima che in Italia? Incapacita’ o provincialismo dell’editoria italiana? So che Goliarda Sapienza ne soffri’ molto.