È il 4 marzo 2016 quando il ventenne Luca Varani viene seviziato e ucciso da Marco Prato e Manuel Foffo. Non c’è un movente, solo il gioco perverso di due figli di papà strafatti di cocaina.
Nel suo ultimo romanzo La città dei vivi, Nicola Lagioia ricostruisce uno degli omicidi più agghiaccianti degli ultimi anni, quello di Luca Varani ad opera di Manuel Foffo e Marco Prato.
Un omicidio che mobilita la politica, che fa discutere la gente dello spettacolo, che fa intervenire psicologi e criminologi invitati nei talk show per commentare, per condannare il gesto, per inveire contro i figli di papà che, imbottiti di cocaina, si divertono a torturare un giovane ventenne sprovveduto.
E fin qui tutto secondo le regole del buoncostume. Non manca chi invece il dito l’ha puntato contro la vittima, che forse tanto sprovveduta non era se ha coscientemente passato la serata con due gay chiaramente sotto l’effetto di stupefacenti. “Se l’è cercata”, si dirà.
Quello che la tragedia provoca nell’opinione pubblica è un parapiglia di giudizi, di commenti social, un gran parlare che diventa rumore di fondo delle indagini in corso. Si finisce per fare un processo ai prototipi. Il gay dichiarato. Il gay represso. Il cocainomane.
Nicola Lagioia, incaricato di scrivere un reportage sul delitto, si scambia informazioni con i colleghi giornalisti, intervista i parenti e gli amici della vittima, scava nel passato dei carnefici. Si intrufola negli ambienti della Roma bene, quella dei festini a base di sesso e droga organizzati da Marco Prato, ma si avventura anche nel quartiere Prenestina da cui proviene Luca Varani.
Dà voce a tutti. “Il coro” lo chiama, ed è proprio questa l’impressione che si ha: tutti hanno qualcosa da dire in merito. È un vociare assordante che accompagna quei giorni e i mesi a venire.
A detta degli psicologi e psichiatri impegnati sul caso, tra i due carnefici ci sarebbe stato un “contagio psichico” in cui uno dei due avrebbe spinto l’altro ad andare oltre. Ma chi ha plagiato l’altro? Quale dei due è stato la mente?
La ricostruzione accreditata è quella che vede Marco Prato scaricare su Manuel Foffo la sua frustrazione, i suoi istinti più animaleschi, per poi infondergli la rabbia repressa. Dalla sua ha però l’attenuante che non è stato lui materialmente a colpire Luca.
In tutto questo la vittima scompare quasi. Si parla degli assassini, si studiano le loro abitudini, si ricostruiscono gli ultimi giorni prima del fatto, si analizza la psicologia: è evidente il tentativo di cercare il motivo che ha scatenato una furia omicida senza senso. Si entra così tanto nel loro vissuto che ci si ritrova a compatirli o a trovare delle attenuanti.
In quel momento erano ancora due quasi trentenni con la vita davanti. Chi non aveva fatto stupidaggini da giovane? Il mondo era pieno di adulti che, calmi e soddisfatti nelle loro case, sfogliavano l’album dei ricordi ritrovandosi con incredulità davanti agli episodi assurdi di cui erano stati protagonisti tanto tempo prima.
E Luca? Di Luca si parla poco e di fatto non si saprà mai tutta la verità sulle sue abitudini. Ma forse è meglio così.
La città dei vivi è un romanzo-verità scritto magistralmente che riaccende i riflettori su una delle pagine di cronaca nera più raccapriccianti degli ultimi anni. C’è da scommettere che di questo libro se ne parlerà a lungo e non manca chi lo considera già tra i papabili vincitori del Premio Strega, di cui peraltro Nicola Lagioia è stato insignito nel 2015 con La ferocia.