Michele Serra esamina il rapporto padre-figlio osservando gli atteggiamenti dei giovani d’oggi che affrontano la vita “sdraiati”, con negligenza e noncuranza.
Con Gli sdraiati ho fatto una cosa che non ho mai fatto prima d’ora. L’ho letto, l’ho finito, l’ho tenuto a portata di mano e l’ho riletto solo poco dopo. La mia domanda era: come mai è piaciuto tanto a tutti? Perché davvero, dove mi giro mi giro, tutti quelli che l’hanno letto lo descrivono come un piccolo capolavoro. E questa cosa proprio non mi torna. Quindi ci ho pensato su e alla fine mi sono decisa a ricominciarlo.
Beh, diciamo in tutta onestà che se fosse stato un volumone da 800 pagine mai e poi mai avrei avuto questo impellente desiderio di uniformarmi alla massa: la pensassero pure come vogliono, io mi fido del mio giudizio! E il mio giudizio era insindacabilmente negativo…
Tutta questa premessa non è per dire che sì, mi sono ricreduta e questo diventerà un classico della letteratura contemporanea italiana. Ma in effetti rispetto al mio primo giudizio, qualcosa è andato meglio, probabilmente perché a quel punto non avevo aspettative tanto alte da soddisfare.
Alcune parti del romanzo sono effettivamente divertenti, altre più profonde (anche se mascherate dalla vena ironica dell’autore), in altre mi sono proprio riconosciuta.
Probabilmente il conflitto di cui parla Michele Serra, ossia tra la generazione degli smartphone e quella dei “ai miei tempi…”, esiste davvero. Ma mi chiedo: è forse diverso da quello che ogni generazione affronta con quella che l’ha preceduta e quella che l’ha seguita? Fossi genitore anch’io, forse avrei capito meglio i tentennamenti di questo padre e i diversi modi per aprirsi un varco verso suo figlio. Certo, un paio di sonori ceffoni a questo adolescente maleducato e scostante non gli avrebbero fatto male, anzi… Magari lo avrebbero reso un po’ meno “sdraiato”.
L’amore naturale che si porta ai figli bambini non è un merito. Non richiede capacità che non siano istintive. […] È quando tuo figlio […] si trasforma in un tuo simile, in un uomo, in una donna, insomma in uno come te, è allora che amarlo richiede le virtù che contano. La pazienza, la forza d’animo, l’autorevolezza, la severità, la generosità, l’esemplarità… troppe, troppe virtù per chi nel frattempo cerca di continuare a vivere.
E anche sulla scrittura ho le mie riserve. Se a volte adopera uno slang giovanile e un umorismo smaccato, fresco, dinamico e diretto, in altri passaggi fa una bella mostra dei vocaboli più obsoleti della lingua italiana. Motivo per cui alcuni capitoli mi hanno annoiata a morte per quel girare intorno allo stesso concetto – fortuna che ogni due pagine ce n’è una bianca! E questo calo dell’attenzione da parte di un lettore – fosse solo di uno – non è accettabile in un libro di un centinaio di pagine.