Sei persone diverse per estrazione sociale e qualità di vita vengono scelti per comporre la giuria in un processo per duplice omicidio. Inizialmente ostili e guardinghi, inizieranno a conoscersi e a instaurare un rapporto che li troverà uniti nel momento di comprendere cosa è avvenuto alla Falconaia e prendere una decisione in merito al sospettato per eccellenza.
L’ultimo romanzo di Giampaolo Simi, I giorni del giudizio, è un legal-thriller in cui i fatti vengono via via riesumati attraverso le esperienze dei giurati chiamati a deliberare sul caso di un duplice omicidio avvenuto in una maestosa villa di Lucca, la Falconaia.
Emma, proprietaria di una boutique di classe; Terenzio, pensionato; Serena, cameriera in birreria; Malcom, youtuber che recensisce videogame; Ahmed, magazziniere notturno; Iris, bibliotecaria. Sono loro i sei giurati popolari chiamati ad affiancare i togati alla Corte d’Assise.
Persone normali che nulla hanno a che vedere con l’ambiente giuridico, con le sue dinamiche e i suoi meccanismi, si trovano in un’aula di tribunale e hanno facoltà di mandare in galera un uomo per il resto della sua vita per quello che sembra a tutti gli effetti un delitto passionale.
Nel giro di pochi mesi, tutti loro avranno di che riflettere sul presunto assassino, Daniel Bonarrigo, e sul movente che presumibilmente lo ha spinto a uccidere la moglie Esther e il suo amante Jacopo Corti. Ma soprattutto tutti loro potrebbero avere un tornaconto nel caso la Giuria decida di condannarlo o di assolverlo.
Emma cerca le poche energie residue in un sospiro. Secondo lei tutti hanno trovato un tornaconto. Colpevole o innocente? Più va avanti il processo e meno ci capiscono, è tutto così incerto che tanto vale provare a cavarne un vantaggio.
Come se non bastasse, appare chiaro che c’è lo zampino di una potenza superiore: l’’ndrangheta ha interesse che Daniel venga condannato e le intimidazioni dirette o velate sono all’ordine del giorno.
Come ho già avuto modo di constatare con La ragazza sbagliata, Simi è molto attento a descrivere le psicologie dei personaggi, a ricostruire le vicissitudini personali di ciascuno di loro e, in questo caso, a insinuare il sospetto che la giustizia non è per loro il sommo bene. Come a dire, tutti sono corruttibili, tutti guardano in primis al proprio orticello.
Un thriller interessante, che a momenti cattura ma in altri mi è sembrato troppo farraginoso. Coinvolge ma non strega.