Di ritorno da un viaggio con gli amici a Mosca, Ana Mladić è cambiata: non studia più, è fredda con i suoi genitori e resta tutto il giorno chiusa in camera sua. Quello che ha scoperto le ha spezzato il cuore: suo padre, il suo eroe, è un assassino senza scrupoli.
La figlia di Clara Usón è un libro a metà tra biografia, romanzo storico e fiction in cui la figura del generale Ratko Mladić viene tratteggiata nella duplice veste di padre affettuoso e di criminale responsabile dell’assedio di Sarajevo e del massacro di Srebrenica.
Per quanto riguarda invece la protagonista Ana, la figlia di Mladić, è come se il viaggio in Russia le avesse fatto aprire gli occhi. Le tornano in mente le parole dei suoi amici, origliate appena. Nessuno di loro si è degnato di dirle apertamente cosa pensa di lei e di suo padre, forse per paura di una ritorsione. Com’è successo a Dragan, morto in guerra perché uscito dalle grazie della figlia del boia di Srebrenica.
Ma più passano i giorni, più a ferirla non è quello che pensano gli altri, ma le menzogne che lui, il suo idolo, le ha propinato per anni. Suo padre, un eroe, un moderno principe Lazar che combatte per la sua patria. Lui che l’ha sempre preferita al fratello, che le permetteva di pulire le sue pistole, che la chiamava “figliolo” per dimostrarle che la considerava al pari di un maschio. Tutte le sue certezze crollano, il suo sistema di valori va in frantumi. E così, a soli 23 anni, compie il gesto estremo di vendetta.
«Si crede un Dio» aveva detto Danilo. Ed era vero. Il potere, l’adulazione, gli ossequi lo avevano trasformato. Parlava spesso di sé stesso in terza persona, come irretito dall’ammirazione e dal rispetto che gli infondeva il suo stesso personaggio: «Se il generale Mladić te lo garantisce è come se te lo garantisse Dio». Si credeva al di sopra del bene e del male, un eroe leggendario, con una missione: salvare la Serbia.”
Se è vero che è ben delineata la galleria di eroi (o presunti tali) che hanno fatto la storia del paese, devo però ammettere che quello che mi è mancato nel romanzo è una caratterizzazione più accurata di Ana e forse su quell’aspetto si poteva insistere maggiormente. È la protagonista ma è come se non lo fosse; è anche lei, come noi lettori, spettatrice di quanto avviene in tempo di guerra e delle azioni nefaste di suo padre.
Quello che l’autrice vuole evidenziare è il rapporto con questo padre adorato, un esempio, un mentore a cui Ana si ispira e, proprio in virtù di questo amore incondizionato, si fa stridente il contrasto tra il padre affettuoso e il mostro.
Per certi versi il libro l’ho trovato istruttivo, perché ripercorre i periodi cruciali della guerra dei Balcani soffermandosi sulle figure emblematiche che hanno portato alla disgregazione della Iugoslavia. Di sicuro non è un manuale di storia (e non vuole esserlo) però permette di conoscere momenti storici che nei libri scolastici occupano spesso poco spazio e pochissima rilevanza.
La figlia non è un libro semplice, non è una lettura leggera (e forse neanche indimenticabile), ma è comunque una testimonianza di quanto avvenuto a un passo da noi e per questo vale la pena leggerlo.