Dopo l’incidente che ha reso suo marito disabile e incapace a mantenere la famiglia, Antonia deve arrabattarsi con il suo stipendio di donna delle pulizie e mandare avanti la casa, che altro non è se non un misero monolocale in un seminterrato. Per limitare le spese, decide di trasferire la famiglia sulle rive del lago di Bracciano e qui sua figlia Gaia impara a difendersi, dimostrando carattere ma anche un pizzico di violenza.
Vincitore del Premio Campiello 2021, L’acqua del lago non è mai dolce di Giulia Caminito vuole essere una storia di rivalsa, ma lascia sottointeso che un cambiamento di status non sia realmente possibile.
Antonia è una madre che lotta con le unghie e con i denti per la sopravvivenza della famiglia, con un marito rimasto paralizzato sul lavoro e quattro bocche da sfamare. Masticando malumori e rabbia, cresce i suoi figli senza mai una carezza, una parola dolce, un bacio, un qualunque gesto di approvazione. Antonia per molti versi mi ha ricordato la madre de L’arminuta per quell’atteggiamento composto, sempre un po’ arrabbiato con la vita, tipico di chi non ha tempo per le smancerie, perché è troppo occupata a rimboccarsi le maniche. Pur facendo tutto ciò per il bene dei suoi figli, per garantire loro un futuro migliore, li priva di ciò di cui hanno più bisogno: le cure amorevoli di una madre.
In contrapposizione con Antonia c’è Gaia, sua figlia, la quale accusa il colpo di quella anaffettività materna, di quella povertà, di una casa assegnata dal Comune, senza una stanza tutta sua, senza la televisione, senza le prelibatezze per la cena di Natale. La loro è una casa in cui non entra mai la gioia, in cui suo padre si aggira sulla carrozzina con lo sguardo spento e nessuna voglia di vivere.
Quasi a voler sfidare il mondo per quella lampante ingiustizia, Gaia sceglie di andare a scuola a Roma in un liceo rinomato dove il contrasto con i compagni di classe benestanti si fa ancora più stridente. Della loro ricchezza Gaia si nutre: invidia le loro case con due televisori, gli armadi pieni di golf griffati tutti uguali, il lusso, i soldi per il cinema, il motorino o l’orologio di marca. Il confronto è impietoso ma ciò non le impedisce di sfoggiare un atteggiamento fiero e altezzoso, ma anche un’aggressività animalesca quando si sente apertamente derisa.
La questione dello status sociale è al centro della vita della protagonista, ma è più lei a temere di non venire accettata che i suoi coetanei a mostrare qualche atteggiamento classista nei suoi confronti.
Il romanzo onestamente non mi ha entusiasmato, innanzitutto perché Gaia non è un personaggio a cui ci si affeziona o per cui si prova un moto di compassione sincera. Questo perché sembra affrontare la vita con superficialità e niente di quello che le accade intorno lascia veramente un segno dentro di lei: il tradimento di un’amicizia, l’innamoramento, il sesso, perfino la morte la sfiora appena.
Inoltre, la scarsa profondità dei rapporti: inizialmente il legame con il fratello sembra essere un nodo cruciale della storia ma poi si risolve dopo le prime pagine senza uno sviluppo; le relazioni amorose sono appena accennate; le amicizie restano superficiali e anche quelle conflittuali non vengono colte nella loro complessità. Il mondo interiore di un’adolescente è così vasto da avere mille spunti di riflessioni ma l’autrice non ha saputo coglierne nessuno fino in fondo e il personaggio di Gaia resta un guscio vuoto, una corazza impenetrabile al lettore.
Infine, devo ammettere che le situazioni sono esasperate fino allo stremo rendendo il tutto poco realistico e, alla resa dei conti, poco credibile.