Nata schiava in una piantagione di cotone, Cora decide di scappare con l’amico Caesar cercando di sfuggire agli uomini di Ridgeway, un cacciatore di schiavi che il padrone ha ingaggiato per catturarli. Grazie all’aiuto di coraggiosi abolizionisti, Cora riuscirà a intraprendere un lungo viaggio tra gli Stati del Sud grazie ad una misteriosa ferrovia sotterranea.
Vincitore del Premio Pulitzer 2017 e del National Book Award, La ferrovia sotterranea è un romanzo di Colson Whitehead che denuncia le riprovevoli condizioni di vita dei neri negli Stati Uniti della prima metà dell’Ottocento.
L’America raccontata dall’autore attraverso il viaggio di Cora è un mosaico di Stati in cui le leggi riguardo alla gestione dei neri è molto differente. La Georgia è disseminata di piantagione di cotone dove i negri vengono frustrati e seviziati per un nonnulla. Nella Carolina del Sud sono liberi di lavorare, di comprare abiti di puro cotone, di partecipare alle feste, di entrare nei negozi e nelle taverne, ma restano pur sempre di proprietà di uno Stato che vuole controllarne la procreazione.
La Carolina del Nord è invece l’inferno in cui i pochi neri rimasti in circolazione pendono appesi nelle piazze al fianco dei bianchi che li hanno tenuti nascosti nelle soffitte, nelle cantine o nelle stalle. Qui l’uccisione di un nero o di un traditore è il momento clou della settimana, una festa in cui la popolazione si riunisce per rallegrarsi delle impiccagioni.
Che razza di mondo è, pensò Cora, quello in cui una prigionia perenne è il tuo unico rifugio? Era libera dalla schiavitù o ancora sotto il suo giogo: come descrivere la situazione di una fuggiasca? La libertà era qualcosa che cambiava forma mentre la si guardava, così come un bosco è fitto di alberi visto da vicino ma dall’esterno, da un campo aperto, se ne vedono i veri limiti. Essere liberi non aveva nulla a che fare con le catene o con la quantità di spazio a disposizione.
Arrivare nell’Indiana è per Cora come mettere piede nella terra promessa: qui i fuggitivi come lei possono studiare e lavorare, possono fare figli che non saranno venduti o frustati, possono finalmente mettere radici.
Eppure, nessun posto sembra veramente sicuro.
Ecco la prima illusione: che possiamo sfuggire alla schiavitù. Non è vero, non possiamo. Certe cicatrici non guariranno mai. Ma quando avete visto vostra madre venduta e portata via, vostro padre picchiato, vostra sorella violentata da qualche caposquadra o padrone, avreste mai pensato che sareste stati seduti qui un giorno, senza catene, senza nessun gioco, in mezzo a una nuova famiglia? Tutta la vostra esperienza vi diceva che la libertà era un raggiro – eppure eccovi qui. E ancora corriamo, orientandoci alla buona luce della luna piena per metterci in salvo.
L’America di Colson Whitehead non è solo quella brutale del padrone che uccide un negro di sua proprietà, ma è anche l’America subdola di quei bianchi che, pur mostrando tolleranza, restano diffidenti nei confronti di una popolazione tanto diversa e in continua crescita. Sono gli stessi bianchi che offrono ospitalità ai neri e poi usano i loro corpi come cavie per gli studi sulla ricerca di malattie trasmissibili o per sperimentare tecniche chirurgiche sui soggetti con problemi mentali. Sono gli stessi che li costringono ad una sterilizzazione controllata cosicché siano liberi di vivere ma non di riprodursi, scongiurando il pericolo di un futuro esercito di neri in grado di mettere in pericolo la razza bianca. Paradossalmente è proprio in un laboratorio di medicina che la morte rende giustizia ed equità, che il colore della pelle non conta perché il corpo di un nero è in tutto e per tutto identico a quello di un bianco.
Cora è l’eroina di questa storia ma come lei ci sono altre persone, altri Caesar, altri Sam, altri Valentine, altri Ethel e Martin, che hanno opposto resistenza all’America schiavista. Non importa che questi personaggi siano inventati, che i loro nomi siano fittizi; la storia raccontata da Whitehead vuole comunque essere un inno a coloro che hanno tentato di arrivare al Nord e non ce l’hanno fatta. A quanti hanno messo a repentaglio la propria vita e quella delle proprie famiglie pur di salvare anche solo un fuggitivo.
La storia di Cora è la storia di chi ha le mani piene di calli, di chi porta i segni delle frustate sul corpo, di chi ha subito una mutilazione per essersi ribellato al proprio destino, di chi è stato impiccato sul sentiero della Libertà.
L’autore gioca sul concetto di ferrovia sotterranea, storicamente esistita ma non caratterizzata da binari costruiti nel sottosuolo: era, in realtà, una catena assistenziale di persone che rischiarono la vita per mettere al sicuro poveri innocenti, fornendo riparo e cibo ai fuggitivi e aiutandoli nel loro viaggio verso il nord antischiavista.
Come tutte le storie che fanno luce su una pagina riprovevole della nostra Storia passata, La ferrovia sotterranea è un romanzo doveroso per il tema trattato, ed è lodevole che ne sia stata tratta una serie tv così da allargare il bacino di utenti.
Se poi devo considerare il mio gusto personale, I ragazzi della Nickel (Premio Pulitzer 2020) resta per me il capolavoro dell’autore, folgorante nella sua sconcertante durezza.