Daniela ha due figli, Angelica e Manuel, ed è per il loro bene che decide nottetempo di partire per l’Italia lasciando un lavoro mal retribuito e un marito che non fa niente per portare i soldi a casa. Lasciare i figli alle cure dei nonni è l’unico modo che conosce per poter garantire loro le stesse opportunità degli altri ragazzi. Ma non ha tenuto conto del dolore incommensurabile che quel distacco può causare.
A tre anni dall’uscita del romanzo che lo ha reso celebre, Resto qui, Marco Balzano ci regala un’altra storia di sofferenza, questa volta tragicamente attuale, con Quando tornerò. Attraverso le voci di Manuel, di Daniela e di Angelica entriamo nel dolore di chi è costretto a lasciare la propria famiglia, i propri bambini, i genitori anziani per cercare lavoro altrove e spedire soldi che permettano ai figli di studiare al meglio.
Nella postfazione l’autore parla di quanto questa storia riguardi in primis le madri, ma appartiene anche a quanti rimangono, i figli. È per il loro bene che queste donne vanno a lavorare in famiglie dove vengono maltrattate, al servizio di vecchi non più in grado di vivere da soli o per bambini i cui genitori hanno messo la carriera al primo posto. Quanto dolore devono affrontare quelle madri costrette ad abbandonare i propri figli per andare a crescere i figli di un’altra, a lasciare i propri genitori anziani per prendersi cura di quelli di qualcun altro.
Ma quanto dolore resta in quei ragazzi che crescono lontano dalle proprie madri, cullati da quella promessa – “È per poco tempo” – che è una menzogna che si ripete a ogni telefonata.
Le ragnatele sui soffitti, il pergolato in rovina, la mansarda ancora da sistemare: la colpa in cui mi devo specchiare ogni volta che ritorno. È come l’ombra, la mia colpa, non resta indietro nemmeno se mi metto a correre.
Balzano racconta i tre punti di vista differenti della stessa storia, facendone un romanzo familiare e mettendo in luce le scelte, le difficoltà, le necessità spesso trascurate, le aspirazioni inappagate. Con che delicatezza riesce a tratteggiare i rapporti che legano i membri della stessa famiglia, rapporti così stretti che sembrano legacci che intrappolano. Mischiato all’amore c’è tutto un corredo di aspettative, frustrazioni, accuse e recriminazioni che finiscono per trasformare l’affetto in un vincolo che stringe e soffoca, che opprime e da cui si vuole fuggire.
La storia di Daniela è la storia di tante donne dell’Est che arrivano in Italia per lavorare, e che del guadagno di quel duro lavoro trattengono solo una piccola parte e spediscono il resto ai figli rimasti in patria. Una storia cruda ma vera che riguarda tanti che hanno fatto e fanno ogni giorno una scelta di vita dolorosa ma indispensabile; è la storia di donne che per questioni economiche diventano madri manchevoli. Anche se a malincuore, sulla bilancia della vita il contributo economico finisce per avere più peso di quello affettivo.
Un tema molto difficile da affrontare dal momento che noi italiani siamo i “carnefici” di queste separazioni e di questi destini spezzati.
Come mi ha lasciato un senso di malessere il romanzo Orfani bianchi di Antonio Manzini che tratta lo stesso argomento, questo Quando tornerò fa, se possibile, ancora più male perché punta lo sguardo dritto negli occhi di chi soffre in modo inaudito, i figli costretti a mettere insieme una parvenza di vita senza i genitori che li guidino.