A cinquantaquattro Toni ha preso consapevolezza di quanto la sua vita familiare e professionale sia stata una farsa. Ecco perché ha scelto una data, il 31 luglio, per lasciare questo mondo: gli resta un anno di tempo per disfarsi delle sue cose, per accomiatarsi da amici e parenti e per mettere ordine su alcuni aspetti della sua vita.
I rondoni, l’ultimo romanzo di Fernando Aramburu, racconta la vita di un uomo scevra da falsi sentimentalismi, ma con un’ironia disincantata e feroce che abbraccia molti aspetti della sua intimità e di quella degli affetti più cari.
Nessuno si salva dalla critica impietosa di Toni, né la sua ex moglie Amalia, né il figlio, né il fratello, né tantomeno l’unico amico Bellagamba e la fidanzata di un tempo ricomparsa dopo tanti anni come perenne monito della sua crudeltà. Nessuno di loro sembra suscitare in lui alcun sentimento di amore puro; più spesso semmai rancore, disprezzo, ripugnanza e odio.
Eppure, in fondo in fondo un cuore ce l’ha anche lui, e anche se a malincuore dà qualche sporadico segno di altruismo, compassione, solidarietà. Come con la nipote malata di cancro. Come con Pepa, la cagnetta fedele che ha “ereditato” con il divorzio. Come con Tina, il sex toy che tratta come fosse una convivente in carne e ossa.
In queste pagine emergono a poco a poco un’infinità di episodi della sua vita passata: quando era poco più di un bambino e assisteva inerme ai litigi dei genitori; quando ha perso il padre e ha visto pian piano sua madre rifiorire, riacquistare bellezza e voglia di vivere, avvicinarsi ad un altro uomo, perfino (forse) innamorarsi; o quando, sempre impotente, ha assistito al lento declino che l’ha portata a scivolare nell’anonimato dell’Alzheimer. Eppure, anche in questi episodi tristi, pochi sono i momenti in cui gli si inumidiscono gli occhi.
Il rapporto con il fratello Raùl sembra minato da un’incomprensione, un’incomunicabilità destinata con gli anni a separarli sempre di più, renderli se non proprio nemici per lo più ostili l’uno all’altro, educatamente cordiali ma reciprocamente diffidenti.
Non gli va meglio con l’unico figlio Nikita, che solo a tratti gli suscita quel senso di protezione paterna che sarebbe naturale avere. Fa quello che gli chiede la moglie Amalia, esegue gli ordini. Ma non sembra spinto da un trasporto reale, da un reale bisogno di essere un educatore, un esempio, di condividere con lui momenti di vita importanti. E questo distacco Nikita lo percepisce tant’è che compare solo quando ha bisogno di soldi.
Ci sono uomini cordigliera la cui peripezia vitale alterna le vette e le vallate. Io sono stato piuttosto un uomo pianura, senza altre alture visibili se non due monticelli neri: Amalia e mio fratello. Loro evocano i miei unici pentimenti degni di menzione. Mi rammarico profondamente di aver convissuto con Amalia. Mi fa male non essere stato in grado di stabilire un rapporto affettuoso con Raùl. Il resto della mia vita mi suscita il contrario dell’entusiasmo; ma nemmeno mi ha lasciato, che io sappia, ferite incurabili.
Settecento pagine sono molte e possono diventare pesanti se ogni paragrafo cambia l’argomento trattato. E in effetti all’inizio si fatica parecchio a orientarsi in questo zigzagare di episodi, di rimbalzi tra passato e presente. L’intento dell’autore è quello di scrivere giornalmente un aneddoto che sia relativo a un passato più o meno remoto o semplicemente fermare sulla carta un’osservazione, un pensiero, una freddura. Una sorta di diario lungo dodici mesi. 365 giorni per altrettanti paragrafi. Ne viene fuori un’opera monumentale di cui però alcune parti potevano francamente essere tralasciate e, forse, una maggior brevità avrebbe giovato alla scorrevolezza del libro. Di certo, girata l’ultima pagina si sente la nostalgia di quest’uomo solitario, cinico, nichilista, a volte rancoroso e burbero, ma alla fine profondamente umano e profondamente buono.
Chi cerca in queste pagine la tragicità che era stata il perno di Patria e di Dopo le fiamme non troverà qui che un pallido riferimento a quella pagina drammatica della storia spagnola, come se fosse una parte della vita che il protagonista ha ampiamente superato, che non ha lasciato strascichi in lui, se non quella stessa indifferenza con cui affronta tutti gli aspetti più delicati della sua vita.