Delia è una mamma, una fidanzata ad un passo dall’altare, una figlia adorata da un padre rimasto vedovo troppo presto e ha un lavoro che le piace e la fa sentire importante: con il suo segugio Greta riporta a casa persone scomparse. Ma un giorno tutto cambia, ed è lei ad essere smarrita, a non avere più certezze, a mettere in dubbio tutta la sua esistenza.
È il secondo romanzo che leggo della Picoult. Il primo è stato La bambina di vetro, posso dire un capolavoro assoluto della scrittrice statunitense? A distanza di un anno da quella lettura, mi basta ripensare alla trama, alla piccola protagonista, ai suoi genitori e a quel finale inaspettato per avere i brividi alla schiena. Purtroppo la sensazione che ho è che di questo Senza lasciare traccia non serberò lo stesso ricordo tra un anno (ma forse neanche tra sei mesi). Mi sembra che sbiadisca giorno dopo giorno.
L’inizio è molto promettente, ti prende e ti coinvolge da subito, finché non si arriva a quel primo colpo di scena che accende la miccia della narrazione e accalappia definitivamente il lettore. Poi però qualcosina si perde nella parte centrale – tutta la vicenda legata a Ruthann, la vicina di roulotte, infarcita di spiegazioni sulle credenze, le abitudini e le tradizioni della tribù degli hopi – l’ho trovata abbastanza superflua e slegata rispetto al filone centrale del romanzo.
Ma nella parte finale si ritrovano il vigore e la tensione emotiva che ci si aspettava all’inizio. Insomma un po’ altalenante ma è tutto sommato un bel romanzo, e di certo la Picoult è una che sa scrivere e che sa scavare in profondità nella psiche umana. Il suo saltellare tra i personaggi, dando la parola ora all’uno ora all’altro, consente al lettore di conoscere a fondo ciascuno di loro. Diventa difficile a quel punto prendere una posizione univoca, schierandosi con chi è apparentemente una vittima e condannando a spada tratta il carnefice. Non è tutto bianco o nero, in mezzo ci sono un’infinità di sfumature che rendono instabile la bilancia interiore del giudizio. Sono le attenuanti a far vacillare le tue certezze.
Cattivo non è un termine assoluto, ma relativo. Chiedilo al rapinatore che ha usato i soldi del bottino per dare da mangiare al figlio appena nato; allo stupratore che ha subito abusi sessuali da piccolo; al sequestratore che credeva davvero di salvare una vita. Il semplice fatto di aver violato la legge non significa aver varcato intenzionalmente la linea che separa il bene dal male. A volte, quella linea avanza furtiva verso di te e, prima che tu te ne renda conto, ti ritrovi dall’altra parte.
Secondo me il merito più grande che va riconosciuto a questa scrittrice è quello di trattare temi scomodi – come l’alcolismo, gli abusi, le condizioni nelle carceri – con un tatto e un pathos che fanno realmente entrare dentro alla questione.
Mi rendo conto che dare “solo” la sufficienza a questo libro è un po’ ingiusto da parte mia, perché la lettura scivola via senza grossi intoppi. Il fatto è che mi aspettavo di più, anzi speravo in un capolavoro all’altezza de La bambina di vetro – anche se questo è precedente di qualche anno e forse un po’ di indulgenza ad una neo scrittrice bisogna pure concederla!