Nel 1979 Massimo Carlotto viene giudicato colpevole per l’omicidio di una ragazza, Margherita Magello, ma, sotto consiglio del suo avvocato, fugge prima in Francia e poi in Messico. Una vicenda giudiziaria che dura 17 anni e che termina con la concessione della grazia da parte dell’allora Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. Questo libro racconta quegli anni tormentati.
Ero molto curiosa di leggere Il fuggiasco di Carlotto perché è la sua personale ricostruzione di quella fuga, nell’attesa che la giustizia faccia il suo corso – oggi il “caso Carlotto” è considerato uno degli errori giudiziari più clamorosi della storia italiana.
Beh quello che mi è parso evidente già dalle prime pagine di questo libro è che Massimo Carlotto non è uno scrittore – o almeno non è uno scrittore nelle mie corde. Non trasmette pathos. È come se le paure, le angosce, la delusione per quanto subisce, tutte le sensazioni che ha provato in prima persona non riuscissero a venire fuori dalla carta.
Ero tornato a essere un prigioniero. A mano a mano che le ore passavano, il carcere diventava sempre più reale. Ne sentivo addirittura l’odore, gli inconfondibili rumori. Cancelli, grida, serrature. E il silenzio, così innaturale e greve di disperazione da svegliarmi di soprassalto in quei primi mesi.
Leggere Il fuggiasco è come sfogliare un saggio o una pagina di giornale lunga 146 pagine. Più che un romanzo sembra il manuale del perfetto latitante – cosa fare e cosa non fare quando sei braccato dalla polizia. Lento all’inverosimile, gira sempre intorno alle stesse considerazioni. E anche se questa vita in fuga si rivela drammatica e miserabile, non c’è un momento in cui si entra veramente in empatia con questo personaggio.