Alex Weller è uno scienziato ossessionato dal desiderio di riabbracciare suo padre, morto in un incidente quando lui era piccolo. In seguito ad accurate ricerche, scopre come sintetizzare una sostanza prodotta dal cervello in grado di creare un’esperienza di pre-morte. Ma per ottenerla dovrà spingersi oltre i confini della legalità… d’altronde il fine giustifica i mezzi!
Generalmente quando uno scrittore ha avuto un successo strepitoso con il suo primo romanzo e successivamente sforna un libro dopo l’altro a cadenza regolare (probabilmente, in virtù del contratto firmato con la casa editrice), i successivi sono delle delusioni clamorose. Libri senza capo né coda o che ricalcano spiccatamente la linea di quel primo, impareggiabile successo.
Ecco perché ero scettica quando, dopo aver letto tutta la trilogia sulla Biblioteca dei morti e Il marchio del diavolo, ho comprato questo L’ultimo giorno. Mi aspettavo un thriller di ambientazione storica (o meglio, para-storica) in cui surreali circostanze avessero ripercussioni al limite del catastrofico che giungono fino ai giorni nostri. Insomma, un libro in perfetto stile Glenn Cooper!
Al contrario, sono rimasta spiazzata da questo romanzo a tratti filosofico e metafisico che indaga sulla vita dopo la morte. La prima reazione è stata quella di storcere il naso: l’esperienza pre-morte, il tunnel, la luce, il senso di beatitudine… Mi è sembrato troppo semplicistico prendere le classiche descrizioni raccontate da chi si risveglia da uno stato di coma e schiaffarle sulla pagina. E il mio primo pensiero è stato: attento Glenn, stai scherzando col fuoco!
Ma poi la storia è talmente ben costruita intorno a questo tema che dimentichi il disappunto iniziale. Non solo, ma le descrizioni sono così minuziose e accattivanti che vorresti che non si trattasse solo di una finzione. Vorresti che questa misteriosa bliss esistesse davvero.
La presenza di Dio si avverte con una potenza inequivocabile, accompagnata dall’assoluta certezza che i nostri cari ci aspettano laggiù, oltre la nostra dimensione. La definirei una beatitudine estrema, un’ultimate bliss.
450 pagine divorate in poche ore sono la miglior testimonianza del talento di questo scrittore che ha un modo di scrivere talmente coinvolgente che è fisicamente difficile staccarsene. Gli occhi bruciano e la vista fa cilecca ma la mente non smette di girare intorno alla questione, forse in virtù del fatto che questa volta il lettore si sente chiamato in causa e cerca tra le pagine la risposta a quella domanda tanto scottante che tutti, prima o dopo nella vita, ci facciamo: esiste davvero una vita dopo la morte in cui riunirsi coi nostri cari scomparsi?
E poi c’è il finale, dal forte impatto emotivo, che lancia un messaggio inequivocabile.
Ecco, se proprio si vuole cercare il pelo nell’uovo, l’unica pecca di questo libro è che è meno articolato dei precedenti romanzi. La storia è tutta ambientata nel presente, quindi sono assenti quei salti temporali che tanto mi avevano entusiasmato negli altri libri. Per il resto, bravo Cooper!