Adolf Hitler, che tutti credono morto all’interno del bunker nel 1945, si risveglia in un campo abbandonato di Berlino e dimostra da subito di avere nuove velleità di conquista. Questa volta però i primi passi per farsi apprezzare dal popolo li muove in televisione, interpretando semplicemente se stesso e scagliando invettive contro il governo e contro gli stranieri.
Chi l’avrebbe detto che si potesse simpatizzare con un personaggio controverso come Adolf Hitler? Eppure Timur Vermes tratteggia una figura che a più riprese strappa un sorriso. Lui è tornato è un romanzo che attinge a piene mani dalla storia passata della Germania e trae da essa interessanti spunti per farne una commedia umoristica, dove riferimenti a personaggi e fatti realmente accaduti (ma spesso poco o per nulla conosciuti ai più) diventano spunto per un esilarante qui pro quo con quanti si trovano alle prese con un Hitler rispuntato dal nulla per salvare il popolo da solo. La Terra e l’umanità.
Se il destino era stato costretto a compiere un tale gioco di prestigio – e bisogna chiamarlo così, senza giri di parole – allora la situazione del paese, sebbene a un primo sguardo mi fosse sembrata abbastanza tranquilla, doveva essere in realtà ancora più disastrosa di allora.
La riesumazione di una delle figure più importanti del Novecento viene sfruttata dall’autore per addentrarsi in una sagace e perentoria analisi critica della società moderna tedesca (ma non solo). Così finiscono nel suo mirino le tecnologie, dalla televisione che trasmette solo programmi di cucina e drammi familiari, ai telefonini che diventano macchine fotografiche, registratori e computer. Divertenti e sardoniche anche alcune imbeccate sui personaggi della politica – vedi la Merkel – e sulle conseguenze delle scelte fatte – in primis, da lui e dai suoi collaboratori.
A me questa situazione può anche star bene: giorno dopo giorno, il popolo si accorge con sempre maggior chiarezza che razza di filodrammatici occupino posizioni di responsabilità. Ciò che mi sbalordisce davvero è che ancora non siano sfilati a milioni davanti a quella fabbrica di chiacchiere chiamata parlamento con le fiaccole e i forconi al grido di: “Che cosa fate con i nostri soldi?”
Eppure non fila tutto liscio. Purtroppo una copertina accattivante come poche nel panorama editoriale e un’idea vincente non bastano a risollevare le sorti di un romanzo che parte benissimo ma perde il suo piglio scanzonato e ironico man mano che si procede. Infatti, dopo le prime buone impressioni e la curiosità di capire dove l’autore voglia andare a parare, il lettore perde d’interesse perché di fatto nella seconda parte del romanzo non succede niente di nuovo né di trascinante.
Alla sua prima esperienza come scrittore, Vermes si presenta con un’idea che ha dello sbalorditivo ma la mia impressione generale non è delle migliori: inizia alla grande ma via via diventa un po’ troppo ripetitivo e si perde in congetture difficili da seguire soprattutto per chi tedesco non è e non conosce tutte le macchiette, le situazioni e i personaggi poco noti dell’attualità tedesca.
Ma la pecca più grande rimane l’epilogo, che non mette un punto alla vicenda ma lascia in sospeso quale sarà la sorte di questo nuovo personaggio dello showbiz.
Quello che invece mi sento di premiare è il lavoro di documentazione e lo studio evidentemente meticoloso che sta dietro alla ricostruzione di aneddoti storici non così clamorosi da entrare nei libri di scuola. Molto meritevoli anche le note dell’autore in appendice, dove le spiegazioni su fatti e personaggi del presente e del passato si alternano a stralci presi direttamente dal Mein Kampf del Führer. Peccato solo che non fossero distribuite di seguito ai singoli capitoli dando la possibilità di capire a cosa faccia riferimento l’autore senza dover ricorrere di volta in volta a Wikipedia!