Massimo ha solo nove anni quando si sveglia una mattina orfano di madre. Questo libro è il racconto di come il tragico evento lo cambierà e lo renderà un ragazzo debole e impaurito, ma anche un uomo consapevole e alla fine fortificato.
Esiste una sofferenza più grande della perdita di una madre per un figlio di 8 anni? E di 28? E di 48? Inevitabilmente questo è uno di quei dolori che ti porti dentro per il resto della vita, a prescindere dall’età, a prescindere dal tipo di vita che conduci. Dire addio a colei che ti ha dato la vita, vederla rimpicciolita e inerme nella bara, aspirare avidamente l’aria di casa nel tentativo di catturare un rimasuglio del suo odore, provare odio e rabbia perché se ne è andata… Tappe obbligate di un percorso che ogni figlio orfano deve fare e in qualche modo accettare.
In Fai bei sogni, Massimo Gramellini sviscera questo dolore in tutte le sue sfumature, cogliendone i dettagli, le sensazioni e tirando le somme delle conseguenze della perdita:
Ammisi con me stesso che la mamma se n’era andata per sempre e che nessuno mi avrebbe più amato, accettato e protetto come lei.
Che Gramellini sia bravo con le parole e sappia arrivare dritto al punto ci sta, fa parte del suo lavoro. Ma quello che mi sento di lodare in questo romanzo è l’abilità di raccontare una sofferenza così grande senza risultare in alcun modo stucchevole, retorico e fintamente sdolcinato. Non usa nessun orpello per conquistare il lettore. Lo conquista e basta, con la semplicità e la veridicità della sua storia personale.
I morti rimpiccioliscono e i sopravvissuti incattiviscono, come innamorati respinti. Sono offesi con il mondo che non soffre quanto loro.
Non solo. Le emozioni che trasmette Fai bei sogni sono contrastanti. Se è vero che è intriso di un senso di solitudine e malinconia, e che in più di un’occasione ti ritrovi con un groppo in gola difficile da mandar giù, è altrettanto vero che Gramellini sdrammatizza tutto ciò con un’ironia dilagante che stempera i toni e strappa un sorriso.
Per colmare in parte l’abisso di una madre che muore bisogna essere dei maschi femmina. Severi all’occorrenza, ma sensibili. Invece papà era maschio e basta, cresciuto nel mito di due uomini forti: nonna Emma e Napoleone.
Senza scivolare mai nel patetico, Gramellini sa calibrare magistralmente intense riflessioni sulla morte e momenti di pura leggerezza e spensieratezza. Bello, davvero bello. Da non perdere!