Patricia è una giovane e avvenente modella che, di ritorno da un viaggio di lavoro in aereo, è seduta vicino ad una donna, la quale le rivela che qualcuno la vuole morta. Da lì la sua vita cambia: se prima era felice e appagata, ora diventa sospettosa e guardinga. Ma qualcosa di vero nelle parole della sconosciuta sembra esserci…
Ammetto la mia limitatezza, ma quello che proprio non riesco a mandar giù è come possa questa scrittrice aver avuto un tale successo in patria, tanto da aggiudicarsi (come declamato in banda) i tre più importanti premi letterari spagnoli: il premio Alfaguara, il premio Nadal e il premio Planeta. Quest’ultimo proprio con Le cose che sai di me.
Per me questo è il terzo (e, credo, ultimo!) libro che leggo della Sánchez e tra tutti è quello più insensato. Non che La voce invisibile del vento e Il profumo delle foglie di limone siano di una spanna superiore, anzi, ma almeno c’era un’idea di partenza che poteva far ben sperare – anche se poi in entrambi la storia si era rivelata lenta e, pure lì, senza capo né coda. Ma qui non succede davvero nulla. Una ragazza si ritrova a parlare con una pseudo-chiromante che le dice che qualcuno la vuole morta. Da principio non dà molto credito a quelle parole ma poi inizia tutta una serie di elucubrazioni su chi possa volerle far del male, passando in rassegna tutti i suoi conoscenti, genitori e sorella compresi. Voglio dire, ma come sei cresciuta se puoi arrivare a pensare ad un tale odio (o rancore? o invidia?) da parte di qualcuno che ti conosce dai primi momenti di vita? Senza fare spoiler, ve lo dico io dove è cresciuta la bella Patricia. In passerella, sotto i riflettori, davanti ad una macchina fotografica. Insomma quello che ci viene tratteggiato è un mondo vuoto, dove i valori che contano sono i soldi, e la bellezza fisica è la prima cosa a cui pensare. Dove il cuore serve solo per soffrire e far soffrire.
Andavo per la vita senza accorgermi di niente. Il lavoro, l’amore, ubriacarmi un po’ alle feste per liberarmi delle tensioni, guadagnare per sentirmi sicura.
La cosa più fastidiosa è che ogni cinque pagine questa egocentrica e ambiziosa protagonista (celandosi dietro alla faccia pulita della brava ragazza) schiaffa i suoi soldi in faccia a qualcuno: al fidanzato, al padre malato, alla sorella, alla domestica, alla chiromante svitata, ad un teppista di periferia, al manager del marito. Fa bene, visto che a quanto pare questo è l’unico modo che ha affinché qualcuno le ronzi ancora intorno. Eh sì, che anche quando parla del rapporto coi genitori sembra che a legarli non sia un reale affetto, ma solo la gratitudine che questi dovrebbero dimostrarle (e non dimostrano) per i soldi che generosamente elargisce loro.
Ma poi cosa la porta a credere che qualcuno la odi al punto da volerne la morte? Il fatto che sia “vittima” di qualche piccolo incidente. Niente che non possa accadere ad una normale persona distratta o maldestra, senza andare a fantasticare su qualcuno che ci fa le macumbe. Questo per farvi capire su che basi fragili sta in piedi tutto l’ambaradan…
Finito il libro, la domanda che mi frullava nella testa era: qual è il messaggio che vuole trasmettere? Che l’invidia può essere causa della distruzione della persona disprezzata? Che è bene guardarsi le spalle da tutti quelli che ci circondano? Anche perché non mi pare che Patricia, dopo aver analizzato attentamente tutti i suoi rapporti interpersonali, ne abbia tratto qualche insegnamento sull’autenticità dei suoi legami affettivi, né che faccia un bagno di umiltà per capire cosa deve cambiare per migliorarli.
Più ci penso e più questo libro mi sembra vuoto. Vuoto come la sua protagonista…