In un paesino della provincia francese, la legge vuole che sia data la “polvere dolce” ai neonati che presentino invalidità mentali o fisiche, in modo da preservare l’integrità e il buon nome del paese stesso. La situazione si complica quando a nascere con una menomazione alla gamba è la figlia del sindaco, il quale si rifiuta di rispettare le regole vigenti e ottiene che la bimba viva, ma non lasci mai la casa paterna.
Ne ha fatta di strada Marco Missiroli dalla pubblicazione di questo Il buio addosso, un romanzo che è una sorta di allegoria, una favola nera dei nostri giorni. Comprato e letto appena uscito, mi aveva lasciato piacevolmente colpita, ma oggi, a risfogliarlo qua e là, mi ha dato qualche spunto di riflessione in più.
I nostri figli e i figli dei nostri figli non conosceranno corpi e menti sfortunati, perché questi esisteranno solo per un respiro e in un respiro se ne andranno.
Già dalle prime battute, una frase lapidaria, incisiva, che lascia intendere quanto dolore e quanta crudeltà siano racchiuse in queste pagine. Crudeltà di una legge ingiusta, una legge degli uomini, creata per rendersi artefici e carnefici della vita umana, per sovrapporsi alla volontà di Dio, ma con la presunta convinzione di servirLo.
Così Marco Missiroli, ci introduce in un mondo malato e degenere, che mostra a testa alta i suoi lustri ed estirpa sul nascere “la mela marcia”.
Sebbene scampata ad un destino crudele grazie all’amore incondizionato del padre, Poline – per tutti la “zoppa di R.” – è però costretta ad un’esistenza di stenti e umiliazioni poiché additata come fosse un mostro informe, un germe infetto che contamina la purezza di Dio, un neo in tanta perfezione.
Il buio addosso è un libro sull’indifferenza e sulla cattiveria degli uomini e non è un caso che non abbia una collocazione temporale e topografica ben definita: racconta infatti una storia di reclusione e di emarginazione che appartiene a tutti i luoghi e a tutti i tempi, dall’origine dell’uomo ad oggi.
Stilisticamente qualcosina che non mi ha convinto in effetti c’è – per esempio, qualche lungaggine che rallenta il ritmo del racconto –, ma non posso che premiare il talento che un allora giovanissimo scrittore ha dimostrato e dimostra tuttora di avere.