In seguito ad un disastro aereo, alcuni ragazzi si ritrovano su un’isola deserta e devono improvvisarsi autosufficienti e responsabili. In un primo tempo dimostrano una maturità “da adulti”, ma ben presto la parte più selvaggia e irrazionale che è in loro prende prepotentemente il sopravvento. In contemporanea e ai margini della storia – ma se ne avverte distintamente l’eco – si sta combattendo un conflitto mondiale.
Il signore delle Mosche è uno di quei libri “da leggere almeno una volta nella vita” e, dopo mesi e mesi nella mia libreria, è arrivato il suo turno ed eccomi qui a parlarne. È un racconto dai profondi significati sociologici, più che un romanzo d’avventura in senso stretto, e non a caso ha valso il Premio Nobel al suo creatore, William Golding.
Al pari di altri romanzi distopici quali La fattoria degli animali o a 1984 di Gerge Orwell o a Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, anche qui si indaga la vera natura umana e le conseguenze che una condotta immorale e asociale possono causare. Cronologicamente successivo ai capolavori appena citati, qui a rendere più sconvolgente e atroce la situazione è che a impugnare le armi e gridare al massacro non siano animali o uomini di un futuro imprecisato, ma dei semplici e “innocenti” bambini.
La morale è chiara e non molto edificante: gli uomini, di qualsiasi età ed estrazione essi siano, sono tendenzialmente portati ad unirsi in società ma, non appena vengono a mancare regole ferree e valide per tutti, a predominare è la legge del più forte. Homo homini lupus.
Per la prima volta da quando era sull’isola si abbandonò al pianto, a un grande spasimo di dolore che lo scuoteva tutto […] Ralph piangeva per la fine dell’innocenza, la durezza del cuore umano, e la caduta nel vuoto del vero amico, l’amico saggio chiamato Piggy.
Ma veniamo alla nota dolente. A mio modestissimo parere (chi sono io per stroncare un Premio Nobel?), questo libro non regge il confronto con i romanzi distopici che lo hanno preceduto! Fin da subito ho storto il naso per una scrittura non nelle mie corde, piuttosto piatta – colpa, forse, di una traduzione non eccezionale? Chissà!
I dialoghi sono banali e spesso ripetitivi, e in certi passaggi anche le parti descrittive mi hanno francamente annoiata. E anche quando la vicenda si fa più avvincente, non ho avvertito quel guizzo che ti fa essere pienamente partecipe dell’azione. Volevo solo arrivare alla fine!
In definitiva, non mi ha convinto. Ma con ciò non mi sento di sconsigliare Il signore delle Mosche in assoluto: è indubbiamente un romanzo che offre spunti di riflessione piuttosto importanti, ma lo trovo più adatto ad un pubblico adolescenziale (se pur dallo stomaco forte, viste alcune situazioni in cui la narrazione ha note decisamente crude).