Costretto a sposare Serene in giovanissima età, Nahum scopre l’amore vero solo quando conosce Malka, la ribelle moglie del rabbino. Spinto dalla sofferenza per il peccato commesso, si allontana dalla città ove farà ritorno quindici anni dopo con un passato alle spalle da vagabondo e da “kalb” (tonto). È allora che dovrà dimostrare davanti a un tribunale quale sia la sua vera identità. Nahum o Yoshe?
Yoshe Kalb è un romanzo scandito in tre parti in cui il protagonista non è altri che un Io in perenne ricerca di se stesso, che non potendo identificarsi con le Leggi imposte dalla società sceglie di essere un vagabondo, un “morto errante nel caos del mondo”.
Nella prima e nella seconda parte, l’elemento più suggestivo della narrazione è la ricostruzione storico-culturale della società, delle abitudini, della fede yiddish, ovvero di un mondo lontano e diverso dal nostro. A colpire è innanzitutto il tema della sottomissione della donna, ancora una volta relegata ai margini, considerata inferiore all’uomo e perciò piegata alle regole di una società creata dai maschi per favorire i maschi – si pensi alla rasatura della testa prima del matrimonio, al vestirsi a lutto se si viene abbandonante dal marito, a tenersi a debita distanza nei giorni di “impurità”.
Una giovane moglie è strappata a questo mondo durante il parto per tre peccati: se ha omesso di prendere un pezzo di pasta del pane dello Shabbat e gettarlo nel fuoco; se non ha acceso le candele dello Shabbat; e se non ha rispettato le leggi di purità. Una moglie deve amare suo marito, ma deve amare ancora di più la Torah.
Ma è nella terza parte che viene magistralmente delineato – per non dire smascherato – tutto il contesto religioso, fatto sì di fede e valori ebraici, ma anche di superstizioni, credenze scaramantiche e presagi, nonché di precetti manipolati per il raggiungimento di fini prettamente individuali ed egoistici. Una contraddizione continua tra buona creanza e ipocrisia.
Nyesheve era stata un grande scandalo. Rabbi Melech era andato sempre più usurpando le prerogative e i privilegi dei rabbini ufficiali. Per di più, con l’intrigo e la corruzione, egli aveva piazzato alcuni suoi parenti in posti vacanti. E non appena fu chiaro che l’incidente di Yoshe non era soltanto un disordine momentaneo, ma avrebbe potuto trasformarsi in un caso pubblico, i Rabbi furono i primi a immischiarsi.
Ed è proprio contro questo repertorio di letture alterate dei testi sacri che si scaglia con decisione Israel Joshua Singer ed è da questo mondo falso che fugge il protagonista Nahum-Yoshe, perseguendo il suo destino di preghiera e purificazione interiore.
La conclusione non è altro che la chiusura del cerchio, l’unica via per tenersi al di fuori da meccanismi che poco o nulla hanno a che vedere con la purezza dell’animo, con la religione e con i principi umani.