Seymour Levov è alto, biondo e atletico. Malgrado sia di origine ebraica al liceo lo chiamano “lo Svedese”. Negli anni ’50 sposa miss New Jersey, avviandosi ad una vita di lavoro nella fabbrica del padre. Nella sua splendida villa cresce Merry, la figlia cagionevole e balbuziente. Finché arriva il giorno in cui le contraddizioni del paese raggiungono la soglia del suo rifugio, devastandola. La guerra del Vietnam è al culmine. Merry sta terminando la scuola e ha l’obiettivo di “portare la guerra in casa”. Letteralmente.
Mi sono sempre tenuta ben lontana da Pastorale americana: diciamo pure che ero prevenuta, forse perché ho sempre sentito dire che Philip Roth è tosto, forse perché sfogliando questo libro mi è solo saltata agli occhi la quantità infinita di parole, scritte una dopo l’altra senza pause con pochi discorsi, quasi a travolgere, un fiume in piena… Ma è effettivamente così. È la vita ad essere così, un fiume in piena che travolge e spezza anche quando abbiamo immaginato o lottato per avere ed essere tutto l’opposto, o ci sentiamo al sicuro nel mondo che ci siamo costruiti.
Roth scrive benissimo, chiaro, cristallino. Esprime in modo sublime i sentimenti e i pensieri dell’animo umano mentre capisce che la terra, che credeva ben solida sotto i suoi piedi, sta franando, che stanno franando le sue certezze e le sue illusioni di una vita perfetta e inattaccabile.
Lo Svedese, Seymour Levov, perfetto nel corpo, perfetto nello spirito e nelle idee, simbolo di speranza in un’America e in un mondo in tumulto, immagine perfezionista di suo padre, una vita obbediente, una moglie bellissima, una casa perfetta; un uomo di successo, mai un’emozione fuori luogo, mai un eccesso di rabbia, si sente al sicuro e felice nel suo paradiso inattaccabile, ha sempre tenuto sotto controllo se stesso e tutto ciò che poteva diventare incontrollabile. Ma all’improvviso tutto crolla…
La figlia lo scuote e lo sbalza dalla tanto desiderata pastorale americana, dal sogno di vita perfetto e idilliaco della famiglia unita in pace e in armonia, e lo proietta in un mondo che è tutto l’opposto del suo, dove la violenza e il tradimento la fanno da padrona, dove la realtà sono lacrime e sangue e dove non si può più fare finta che vada tutto bene… Dove forse non è mai andato tutto bene ma a volte si è troppo ciechi per vedere, troppo presi dall’apparenza e dalla forma, e si finisce per non badare alla sostanza delle cose e alla loro realtà, ed è proprio da questa che non si può scappare mai!
Nessuno attraversa la vita senza restare segnato in qualche modo dal rimpianto, dal dolore, dalla confusione e dalla perdita. Anche a quelli che da piccoli hanno avuto tutto toccherà, prima o poi, la loro quota d’infelicità; se non, certe volte, una quota maggiore.