Miriàm, promessa sposa di Iosef, riceve l’annuncio di un angelo: diventerà madre, senza concepimento, senza il seme di un uomo. Una delle pagine più importanti della Bibbia vengono rilette in chiave materna. È lei, Miriàm, a raccontarci i dubbi, le speranze e le sensazioni di una donna che deve dare alla luce il figlio di Dio.
In nome della madre mi ha aperto gli occhi sul grande successo di Erri De Luca. Molte delle sue opere mi hanno lasciata perplessa, delusa, inappagata. Troppi giri di parole per esprimere un concetto semplice. Troppa cura alla forma e poca alla sostanza.
Quando mi hanno suggerito questo libricino di 80 pagine scarse ero molto scettica, motivo per cui l’ho iniziato con la mia solita diffidenza, certa di trovare il solito sproloquio di belle parole che però poi non lasciano nessun segno dentro di me. Con questo libro invece è arrivato dritto al cuore. Che orgoglio deve essere per uno scrittore un risultato simile: una pecorella smarrita è tornata nel gregge!
La storia è quella che tutti – credenti e non – conoscono. Ma In nome della madre non è un libro solo per i cristiani; è un libro per le mamme, per i figli, per i mariti che vogliono comprendere la maternità delle loro spose. Perché in queste poche pagine è sviscerato l’amore. L’amore materno in primis, in tutta la sua poesia e semplicità.
Sa i miei pensieri. È un maschio e mi rimprovera. Occupa tutto il mio spazio, non solo quello del grembo. Sta nei miei pensieri, nel mio respiro, odora il mondo attraverso il mio naso. Sta in tutte le fibre del mio corpo. Quando uscirà mi svuoterà, mi lascerà vuota come un guscio di noce.
Anche l’amore coniugale è reso in maniera magistrale. La figura di Iosef è descritta con una tenerezza tale da far innamorare. La totale fiducia nella sua donna, il suo amore incondizionato, contro le apparenze, contro i pregiudizi, contro le leggi che lo vorrebbero il primo assalitore della sua compagna ne fanno un uomo di una forza e di una purezza d’animo non comuni.
“Miriàm, sai cos’è la grazia?” “Non di preciso”, risposi.
Non è un’andatura attraente, non è il portamento elevato di certe nostre donne bene in mostra. È la forza sovrumana di affrontare il mondo da soli senza sforzo, sfidarlo a duello tutto intero senza neanche spettinarsi. Non è femminile, è dote di profeti. È un dono e tu l’hai avuto. Chi lo possiede è affrancato da ogni timore. L’ho visto su di te la sera dell’incontro e da allora l’hai addosso. Tu sei piena di grazia.”
L’epilogo del libro racchiude l’essenza più vera della natività, quell’esclusività che è propria solo del legame tra una madre e suo figlio. E poi il lungo monologo di Miriám con il neonato tra le braccio ha qualcosa di magico. Le paure e le speranze di una neo-mamma per il futuro della sua creatura sono tutte racchiuse in queste poche, imperdibili righe.