La madre di Mattia, malata di cancro da molto tempo, sta per spegnersi e a lui non rimane che accompagnarla in quell’ultimo doloroso viaggio, cercando di assaporare ogni attimo che gli rimane da vivere con lei, la donna che lo ha messo al mondo.
L’invenzione della madre è un romanzo terribilmente doloroso, di una tenerezza infinita. Un ragazzo vede morire sua madre, giorno dopo giorno dopo giorno. In pratica è solo una ragazzino quando vede la donna più importante della sua vita ammalarsi per la prima volta, la vede guarire, poi di nuovo ammalarsi e guarire ancora, in una lotta continua contro il cancro, il Male dei nostri giorni. E se per due volte hanno vinto la battaglia, alla terza recidiva perdono la guerra. Nulla si può fare, tranne aspettare che la malattia faccia il suo corso e pian piano prendere coscienza della situazione e iniziare a fare i conti con l’assenza di lei.
E invece no, all’assenza non ci si abitua, farsene una ragione e andare avanti, per un figlio, è impossibile.
Si è orfani una volta e per sempre.
Nonostante lo stile asciutto e fluido di Marco Peano, il romanzo non si legge poi così tutto d’un fiato, e questo per due motivi. Il primo è prettamente stilistico: i paragrafi, piuttosto brevi, non seguono una cronologia ben definita, facendo perdere un po’ il filo della narrazione – e questo è indubbiamente un difetto imputabile al libro.
Il secondo motivo è che alcuni passaggi sono così densi di sofferenza e malinconia che bisogna interrompere la lettura per riprendere fiato – e questo è altrettanto indubbiamente il punto di forza del libro: arriva dritto al cuore!
I personaggi, ad esclusione di Mattia, sono indicati con un nome generico e mai col nome proprio (il padre, la ragazza, la nonna, persino la madre di cui si fa un accenno qua e là ma senza definirlo), come a sottolineare che durante la malattia tutto scompare, tutto perde importanza, esiste solo la propria sofferenza.
Molto azzeccata anche la scelta di scandire il libro in tre parti (prima, durante e dopo) proprio perché per chi perde la madre, la via è spaccata in due: c’è un prima e un dopo, e poi c’è quell’intermezzo, una sorta di limbo, in cui il tempo è sospeso tra condoglianze, pratiche da sbrigare e un senso di incertezza del futuro.
Il tempo ora è esploso prendendo direzioni inutili: il passato – fatto di colori pastello, di tinte morbide e rassicuranti – è stato chiuso nella bara con lei, il futuro – una luce in lontananza che ondeggia a ogni passo – si è polverizzato.
Unico neo del romanzo è che lascia alcune questioni irrisolte – su tutte, la lettera anonima – che non trovano un senso e una conclusione ma sembrano un po’ buttate lì.
Ad ogni modo, un bel romanzo sulla sofferenza e sull’amore totale e incondizionato di un figlio per sua madre, e sulla necessità di ristabilire degli equilibri in un nucleo familiare ormai devastato.