Sono cinque anni che il professor Rivlin si tormenta per il fallimento matrimoniale del figlio Ofer ed è intenzionato a venire a capo della questione, nonostante l’ostilità della moglie e dell’ostinazione di coloro che sanno ma non parlano.
Non il tempo, ma la verità permette di liberarsi delle trappole.
Ma qual è la verità di cui parla Abraham Yehoshua in questo La sposa liberata? Cosa si nasconde dietro al fallimento del matrimonio tra Ofer e Galia? Questo è il mistero, il fil rouge che torna a martellare nella testa di Yohanan Rivlin che da cinque anni vive sulla sua pelle il dolore che dovrebbe essere esclusivamente di proprietà di suo figlio. E, come lui, anche il lettore ha sete di conoscere cosa ha spezzato l’idillio dei due neo-coniugi, ma è una sete che sembra non essere mai appagata.
Se infatti nella prima parte del romanzo, l’attenzione è alle stelle, e tutto coinvolge e stimola le aspettative di chi sta al di là delle pagine, nella seconda parte l’attesa si fa estenuante e si seguono le peripezie del protagonista senza troppa convinzione sul buon esito delle sue ricerche.
Yehoshua – o, almeno, il personaggio da lui creato – sembra ossessionato dai rapporti coniugali: quelli appena nati, quelli già rodati dal tempo e, naturalmente, quelli non andati a buon fine. Così non solo entrano in scena i sentimenti di un figlio divorziato, ma anche quelli di due cugini profondamente e intimamente uniti, di una ex-nuora in dolce attesa, di una coppia dalla consistente differenza di età. E naturalmente quelli del protagonista, unito in modo viscerale alla moglie Haghit che gli dimostra una devozione e una tenerezza infinita pur disapprovando le sue intromissioni nella vita del figlio.
Haghit ha ragione. Lui è un codardo. Non teme altri, o le idee nuove, ma proprio chi lo avverte di non violare certi limiti. Però un autista arabo dagli occhi color carbone, dall’animo sensibile ma risoluto, gli ha insegnato, durante una notte singolare, che è possibile violare certi limiti e inoltrarsi in territori sconosciuti senza per questo perdere antichi amori. Si può scomparire in un letto completamente estraneo e risvegliarsi più saggi e arricchiti.
C’è poi tutto un contorno di personaggi minori dalle cui vite Rivlin si fa trascinare, viaggiando su e giù tra Haifa, Gerusalemme, Tel Aviv, Jenin e il monte Canaan. In questo modo, il lettore è catapultato nella vita in Palestina, un crocevia tra arabi ed ebrei che imparano a convivere pacificamente e si scambiano vicendevolmente briciole di cultura. Alcuni passaggi del romanzo – come per esempio il festival di poesia – sono davvero suggestivi e danno un’idea dello spaccato culturale mediorientale; altre volte invece quelle stesse divagazioni vengono percepite come una forzatura al filone principale. Ad ogni modo, come primo approccio con Yehoshua posso ritenermi soddisfatta!