Vera è una ventenne dalle brillanti prospettive – è una delle poche donne ad essere ammesse all’Università di Oxford – quando l’inizio della guerra cambia tutto. Abbandonati gli studi, diventa infermiera volontaria prima in Inghilterra, poi a Malta e in Francia, e da lì seguirà le catastrofiche conseguenze di una guerra lunga e logorante per entrambi gli schieramenti.
Generazione perduta – Testament of youth il titolo originale – è un romanzo autobiografico di Vera Brittain, una donna forte e anticonformista che si arruolò come infermiera volontaria durante la Prima guerra mondiale. Ed è con vero rammarico che mi trovo a scrivere una recensione non proprio positiva su un libro da cui mi aspettavo grandi cose, emozioni contrastanti, un coinvolgimento totale e assoluto.
Avendo già visto l’omonimo film del 2015 (tutt’altro che leggero, ma molto emozionante) ho iniziato questa biografia sapendo a cosa andavo incontro e il fatto che il volume fosse un “mattone” di oltre 600 pagine, per me è stato uno stimolo in più. Eppure… quante aspettative disattese.
Il romanzo è indubbiamente pregno di significati, una raggelante testimonianza di chi ha vissuto i fatti della guerra in prima persona (oltre che in prima linea), di chi è sopravvissuto a quell’incubo ma che ha dovuto dire addio a chi invece non ce l’ha fatta.
Quando scoppiò la Grande Guerra, non entrò nella mia vita come una tragedia di proporzioni straordinarie, ma piuttosto come un’esasperante interruzione dei miei progetti personali.
Nulla da ridire sulla tematica in sé quindi, che anzi offre un punto di vista innovativo: non quello di un esperto storico ma di chi ha dovuto tenere a freno le preoccupazione per la propria vita e per quella di chi ama e mettersi al servizio degli altri. La testimonianza di una donna, per giunta!
Nonostante la guerra, che ha distrutto così tanta bellezza, così tante promesse, la vita è ancora qui per essere vissuta; per il tempo che vivrò, come posso ignorare l’obbligo di farne parte, di affrontare i suoi problemi, di soffrire per le sue richieste e i suoi inciampi? Il salire e lo scendere dei suoi movimenti, i suoi cambiamenti, le sue tendenze ancora modellano me e tutto ciò che resta della mia generazione, che lo vogliamo o no, e nessuno potrà mai capire tanto chiaramente come noi, le cui vite sono state oscurate dal collasso universale della ragione nel 1914, fino a che punto il futuro della civiltà dipenda dal successo dei nostri attuali sforzi per controllare le nostre passioni politiche e sociali e sostituire ai nostri impulsi distruttivi l’autorità vitalizzante del pensiero costruttivo.
A non convincermi del tutto in questo Generazione perduta è invece lo stile del romanzo, a tratti poco fluido. Costruito come un unico, lunghissimo monologo dove non ci sono praticamente dialoghi, il tutto viene raccontato in prima persona dalla protagonista stessa che ripercorre nella memoria e sulla pagina avvenimenti avvenuti oltre 20 anni prima. Ecco, forse il vero problema risiede proprio in questo: rivisti col senno di poi, anche gli episodi più sentiti ed emotivamente coinvolgenti perdono quel pathos che la materia trattata avrebbe richiesto.
Molto azzeccata invece la trovata di trascrivere le lettere dal fronte, sia quelle spedite che quelle ricevute, che danno un quadro diretto e immediato delle precarie situazioni dei soldati di entrambi i fronti.
Non dubito che questo romanzo abbia un valore notevole – non a caso, nel Regno Unito viene adottato come libro di testo – ma l’ho trovato una lettura non sempre facile e, mio malgrado, devo dire neanche troppo piacevole. Ma è un doveroso tributo ai caduti della Grande Guerra, e parlandone (seppur non con l’entusiasmo che forse meriterebbe) sento di aver fatto la mia parte.