Sul monte Fumo, mentre fuori ci si prepara alla battaglia, all’interno di una caverna il dottore Roumann interroga un prigioniero per sapere il suo nome. Solo così questi avrà salva la vita. La storia che apprenderà parte da lontano e risponde a tre domande: Chi è Guzman? Chi è il prigioniero? Chi è l’uomo che fumava mentre il Titanic affondava?
Abituata ormai al classico thriller alla Carrisi, sono rimasta un po’ spiazzata quando, addentrandomi nella storia di questo La donna dei fiori di carta, ho capito che non ci sarebbe stato nessun serial killer pazzoide, nessuna caccia al mostro, nessuna vittima assassinata. E forse questo è il motivo per cui sono partita col piede sbagliato. In realtà non mi dispiace che Donato Carrisi si sia cimentato con un altro genere – volevo dargli piena fiducia perché finora non mi ha mai delusa. Ma qualcosa non ha girato per il verso giusto.
Nella postfazione è lui stesso a definire questo romanzo un noir, ma con tutta onestà lo trovo più simile ad una favola dove il protagonista gira il mondo, e in questi viaggi incontra montagne canterine, musiche struggenti e passionali, e personaggi bizzarri. Il tutto infarcito dai racconti di vita vissuta. Insomma, una sorta di Le mille e una notte rimaneggiata e riadattata ai tempi moderni.
Il problema è che, alle vicende di questo cantastorie giramondo, si aggiungono quelle personali del dottor Roumann e quelle leggendarie legate a un misterioso uomo che resta impassibile sul ponte del Titanic mentre questo si inabissa. E ancora, mentre il colloquio procede tra il dottore e il prigioniero, al di fuori ci si prepara alla battaglia, una battaglia realmente combattuta sul monte Fumo tra austriaci e italiani.
La chiamavano Guerra Mondiale, ma in fondo era sempre la stessa merda. Una promettente generazione di austriaci – i migliori figli della Patria – era venuta fin quassù a farsi trucidare in nome di un futuro che, con molta probabilità, non avrebbero visto mai. […] E biasimava anche gli italiani dall’altro lato del fronte. Male equipaggiati e senza alcuna preparazione bellica, erano mossi dal ricordo del loro Risorgimento. Spinti dall’esigenza di emulare i padri, i figli volevano ritagliarsi un ruolo nella Storia, senza intuire che, finita questa guerra, prima o poi ne sarebbe arrivata un’altra e la Storia stessa li avrebbe dimenticati.
A conti fatti, la mia impressione è che la materia trattata sia troppo vasta per un libricino di appena 150 pagine e che il risultato sia un insieme di episodi slegati tra loro ma tenuti insieme – un po’ forzatamente – da un filo sottile, sottile come il fumo delle sigarette fumate dai due interlocutori.
Per il resto il romanzo si legge con piacere, grazie anche ad uno stile fluido che scivola senza intoppi dall’inizio alla fine. Sicuramente a Donato Carrisi va riconosciuto il merito di essere uno scrittore poliedrico e di saper mantenere alta l’attenzione del lettore anche senza grandi colpi di scena, ma con questo libro, a mio avviso, ha fatto un piccolo scivolone.
2 thoughts on “La donna dei fiori di carta”
Ho letto tutti i suoi libri. Ma questo è davvero il migliore. Una fantasia estrema, uno scrivere senza imperfezioni. Nessuna necessità di rileggere per capire il testo. E la capacità di farti sentire seduta con loro ad ascoltare. Bravissimo. La risata ti lascia un senso di gratitudine. Poche semplici parole per una verità assoluta. Bravo davvero.
Sai, Cristina, che dopo 5 anni l’ho praticamente dimenticato?! Però tu parli di risata e io non me lo ricordo come un libro divertente!