Madame è una signora povera ma, nonostante le allettanti proposte economiche, rifiuta di vendere il suo pezzo di terra sulla costa agli speculatori che ne vorrebbero fare un paradiso turistico. La sua non è una vita facile, e soprattutto dal punto di vista sentimentale non è stata fortunata. Finché…
Con Ali di babbo Milena Agus ci porta ancora una volta nella sua terra, la Sardegna. E questa volta sceglie di ambientare la sua storia su una costa frastagliata, selvaggia, battuta dal vento, ma soprattutto ancora incontaminata. Eppure in pericolo, perché molto richiesta per essere riorganizzata per renderla più appetibile per i turisti.
Come suo solito, l’autrice racconta in poche pagine le avventure, ma più spesso le disavventure, dei suoi personaggi. È Madame ad essere messa sotto la lente d’ingrandimento: una donna sola, che ha alle spalle una serie di relazioni sentimentali non soddisfacenti, forse perché è lei per prima a non sentirsi all’altezza di un rapporto più impegnativo e concreto. Una donna che ha solo due sogni: andare a Parigi a trovare il figlio dei vicini e tenersi stretto il suo pezzetto di terra affinché resti un paradiso incontaminato.
Di questo bizzarro personaggio seguiamo le mosse tramite il resoconto della nipote di uno dei più cari amici di Madame (anche lui deciso a non vendere il suo tratto di costa alle multinazionali). Ed è dal suo punto di vista innocente che veniamo a conoscenza dei comportamenti non sempre appropriati della attempata signora.
La felicità è un peccato nei confronti del Signore. Perché la felicità che vogliamo noi umani non è l’armonia del Paradiso Terrestre, da cui siamo stati cacciati ed è logico sentirne nostalgia, ma una felicità materiale, un appagamento di desideri fisici, personali.
Il libro, come sempre capita con la Agus, è perfetto per regalare qualche ora di piacevole relax.
Eppure la sua trama non è originale, anzi: sotto molto punti di vista è troppo simile ad un altro suo romanzo, Sottosopra, (successivo, ma il caso ha voluto che mi capitasse per le mani per primo). Peccato!