Ifemelu, una giovane nigeriana arrivata in America per finire gli studi, dovrà confrontarsi con gli atteggiamenti razzisti che ancora stanno alla base delle diversità tra bianchi e neri. Il suo blog “Razzabuglio” nasce proprio dalla necessità di denunciare il falso perbenismo vigente.
Terzo romanzo della scrittrice nigeriana Chiamamanda Ngozi Adichi, Americanah è la lucida osservazione di una nera africana in un mondo fatto su misura per i bianchi, che troppo spesso mal sopportano (e forse ancora non accettano del tutto) la presenza dei neri.
Ifemelu è una nigeriana emigrata negli Stati Uniti che vede i suoi connazionali cambiare identità, perdere la loro unicità per omologarsi agli americani, per farsi accettare da loro, anzi per essere a tutti gli effetti come loro. Ed è in America che si rende conto di essere nera: se prima non aveva mai dato importanza al colore della sua pelle, ora dovrà fare i conti con ciò che questo comporta.
Teniamo presente che Ifemelu non proviene da una Nigeria povera e affamata, ma la sua è una famiglia della media borghesia, in cui non mancano il cibo in tavola né i soldi per far studiare i figli. Il viaggio in America quindi è l’occasione per sfondare, e a maggior ragione non è facile ritrovarsi a dover partire dal basso, sgomitando per ottenere documenti falsi per lavorare in nero, vivendo in appartamentini minuscoli, con pochi soldi per sopravvivere e ripiegando su stratagemmi che la privano della dignità personale.
Non solo. In America, Ifemelu dovrà imparare a comportarsi come ci si aspetta da lei, come vestirsi, come acconciarsi i capelli crespi, come parlare. Sì, perché anche l’accento deve renderla riconoscibile. Di questo e di molto altro comincia a scrivere nel suo blog, “Razzabuglio”, battendo sul concetto di razza e analizzando parecchi aspetti che distinguono i bianchi dai neri. Quello che ne deriva è un’accusa più o meno velata a quanti si professano antirazzisti pur perpetrando atteggiamenti discriminanti.
In America il razzismo esiste ancora, ma non ci sono più i razzisti. I razzisti sono cose del passato. I razzisti sono i bianchi cattivi dalle labbra strette che si vedono nei film sull’era dei diritti civili. Ecco il punto: il modo di manifestarsi del razzismo è cambiato, ma la lingua no. Se non hai linciato nessuno, non puoi essere chiamato razzista. Se non sei un mostro succhiasangue, non puoi essere chiamato razzista. Qualcuno dovrebbe avere il coraggio di dire che i razzisti non sono dei mostri. Sono persone con famiglie amorevoli, gente normale che paga le tasse. Bisognerebbe dare a qualcuno il compito di decidere chi è razzista e chi no. O forse è ora di rottamare la parola «razzista». Di trovare qualcosa di nuovo. Come, ad esempio, «sindrome da disordine razziale». E potremmo avere gradazioni diverse per chi ne soffre: lieve, media e acuta.
E se è vero che Ifemelu parla apertamente di problemi reali, tangibili, è altrettanto vero che la sua non è una rivoluzione attivista, forse non può neanche essere definita una protesta. Come le rimprovera il fidanzato, il suo è un atteggiamento “comodo”, un parlare fine a stesso, come a dire che tanto le cose non possono cambiare e, quando c’è da scendere in piazza, lei si tira indietro.
Ma Ifemelu non può dimenticare le sue origini, il posto da cui viene e in cui ha lasciato la famiglia e l’amore della sua vita. Ed è lì che vuole tornare, dopo tanti anni, dopo essere diventata senza rendersene conto “americanah”. A margine della sua avventura negli States, si racconta infatti la storia con Obinze, lo storico fidanzato, ma ritengo che le loro vicende amorose non siano poi così pregnanti (se non proprio una forzatura nella parte conclusiva del romanzo).
Americanah non è un libro che si legge tutto d’un fiato perché nella parte centrale la scrittrice si sofferma sui meccanismi sociali più che sugli accadimenti veri e propri. Un libro indubbiamente ben scritto e ottimamente pensato. Eppure…
Eppure non mi ha folgorato. L’ho letto con curiosità (come si potrebbe leggere un saggio con qualche nota romanzata) ma non mi ha emozionato. Alcuni capitoli – specie quelli ambientati in Inghilterra – procedono veramente troppo lentamente e la grande quantità dei personaggi minori (molti dei quali con nomi impronunciabili e talmente particolari che non si capisce se siano maschi o femmine) rallenta decisamente la narrazione.
Ecco, forse ero poco preparata io alla materia che mi accingevo a iniziare, ma avevo aspettative davvero alte, che purtroppo non sono state ripagate appieno. Di certo, alcune sensazioni resteranno indelebili, come l’immagine della donna sulle riviste femminili o la solidarietà tra neri come unico atteggiamento obbligato.
È comunque un libro che pone quesiti e obbliga a darsi onestamente delle risposte. Se fate domanda per un prestito in banca, temete che la vostra razza contribuisca a considerarvi finanziariamente non affidabili? Beh, solo per questo merita di essere letto.