Elsa e Adele sono sorelle che dopo un tragico evento si sono allontanate e mai più riviste né parlate. Sentendo la morte avvicinarsi, Elsa decide di tornare a Roma per incontrare la sorella ma, in quella che era la sua casa, trova una giovane coppia e i loro ospiti. Sono loro gli ascoltatori della vicenda che le ha rese nemiche.
Al suo terzo romanzo, Come un respiro, Ferzan Ozpetek prende a mio avviso una grossa cantonata. L’atmosfera è quella dei suoi film: tra Istanbul e il quartiere Testaccio di Roma, si sonda la vicenda di due donne che hanno amato lo stesso uomo e che per questo hanno interrotto ogni rapporto.
Per Elsa e Adele è l’ultima occasione per chiarirsi, un tardivo ricongiungimento che chiude per sempre una storia che le ha viste estranee e asserragliate ciascuna sulle proprie posizioni. L’una ha scelto di cambiare aria, di darsi a una vita frenetica fatta di amori, amici, viaggi; l’altra è rimasta nella stessa città, nella stessa casa a raccogliere i cocci di quello che è stato e non è più.
«Quante persone amano di nascosto, tramano, tradiscono. Io e mia sorella, no. Non più.»
Dicevo che si nota l’impronta del regista ma non l’abilità di dare una profondità ai personaggi. Tanti, se si considerano i sei spettatori casuali di questo dramma familiare. Tanti sì, ma senza spessore.
Tra loro aleggiano segreti, amori conclamati e amori clandestini, ma di questi amori a noi lettori arriva solo una pallida ombra di quanto si cela dietro alle apparenze. Ecco perché arrivati alla fine la delusione è tanta: si capisce che quelle storie sono molliche disseminate qua e là, storie che non saranno raccontate, allusioni che lasciano l’amaro in bocca.
A me è rimasta la curiosità di sapere se le vicende di questi personaggi avrebbero avuto maggior chiarimenti sullo schermo invece che rimanere intrappolate sulla pagina bianca che segue l’ultima riga del libro.