Il marinaio Marlowe racconta alla sua truppa di un viaggio che ha intrapreso anni prima nei meandri dell’Africa, alla ricerca del misterioso e carismatico Kurtz.
Con che rammarico do un voto negativo a uno dei capisaldi della letteratura inglese! In genere, quando mi immergo in un classico, lo faccio per ritirarmi in un porto sicuro, dove non corro il rischio di delusioni provocate da un ottimo marketing ma poca sostanza. Sono gli anni a parlare, e le innumerevoli citazioni nei vari settori dell’arte a dare garanzia di un successo più che meritato. Invece, sono rimasta scottata.
Dire che Cuore di tenebra è un libro di non facile lettura è un eufemismo; è a dir poco ostico e la narrazione procede a rilento. La trama è molto esile, praticamente riassumibile in poche parole, e di fatto non succede granché al protagonista da un punto di vista dell’azione.
Più che altro Conrad fa un gran parlare dei moti dell’animo alla vista di una natura esotica e minacciosa e della popolazione che la abita, una popolazione ancora poco conosciuta e ancor meno civilizzata. E il viaggio di Marlowe nell’Africa nera non è che un viaggio allegorico nelle profondità della psiche, fino a toccare le tenebre che si nascondono nella parte più recondita dell’uomo. La presunta corsa alla civilizzazione del selvaggio diventa una macchia indelebile nella storia dell’uomo occidentale. Che orrore! Che orrore!
Erano dei conquistatori, e per quello basta la forza bruta – niente di cui vantarsi, ad averla, dato che la forza dell’uno è solo un accidente che nasce dalla debolezza degli altri. Arraffavano tutto quello che potevano solo per amore del possesso. […] La conquista della terra, che più che altro significa toglierla a chi ha un diverso colore di pelle o il naso un po’ più schiacciato del nostro, non è una bella cosa a guardarla bene.
Certi passaggi sono molto incisivi ed emotivamente intensi e coinvolgenti, ma si perdono in un groviglio di altri concetti che non hanno destato in me il minimo interesse.
Che cosa stramba è la vita – questa disposizione misteriosa di logica implacabile per un futile scopo. Il massimo che si possa sperare di trarne è una certa conoscenza di noi stessi – che giunge troppo tardi – un mucchio di inestinguibili rimpianti. Ho lottato con la morte. È la disputa meno emozionante che si possa immaginare.
Ma l’aspetto che rende così difficoltosa la lettura è una scrittura che procede molto a rilento, girando intorno agli stessi concetti, con periodi così contorti e poco chiari che spesso si perde il filo del discorso.
Sì, indubbiamente Joseph Conrad restituisce un quadro impressionante e con non pochi punti di riflessione. Ma, a dire il vero, non mi è arrivato! Come se avessi letto un trattato sul colonialismo o l’ennesimo atto di accusa per le angherie che da sempre l’uomo perpetra ai danni del più debole. Sono sincera: ho l’impressione che nel tempo mi resterà un’idea vaga di questo romanzo e, nel complesso, un giudizio negativo.