Richard Papen, da poco entrato nell’Hampden College, ottiene di essere ammesso alle lezioni di stampo classico del professor Julian, di cui sono allievi solo altri cinque studenti: Henry, Francis, Bunny e i gemelli Charles e Camilla. Il rapporto che nasce con loro porterà Richard a farsi coinvolgere in scelte sbagliate che segneranno la sua vita futura.
Romanzo d’esordio della allora giovanissima Donna Tartt, Dio di illusioni è tra le sue opere la più incisiva e la più spiazzante – e, anche se è stato grazie a Il cardellino che l’autrice si è aggiudicata il Premio Pulitzer nel 2014, è a questa prima prova che il pubblico sente di essere più affezionato.
Personalmente ho fatto il percorso a ritroso: ho letto Il cardellino appena uscito, Il piccolo amico qualche mese fa e ora questo. La mia è stata una scelta consapevole perché volevo lasciarmi per ultimo quello che in modo unanime è stato definito il suo capolavoro. E in effetti, devo riconoscere che per incisività e caratterizzazione dei personaggi, questo romanzo è quanto di più vicino alla perfezione.
L’inizio stenta un po’ a coinvolgere, pur essendo già chiaro dalla prima pagina che si sta entrando in una storia torbida, una storia di violenza inaudita. C’è una vittima, ci sono i carnefici; quello che resta da chiarire è il movente. Cosa spinge cinque ragazzi di buona famiglia a uccidere uno del gruppo, un loro amico?
La risposta va cercata proprio nella scelta del percorso scolastico: Platone, Omero, Svetonio, ma anche riti dionisiaci e concetti filosofici che poco o niente hanno attinenza con la realtà di tutti i giorni, ma finiscono per sostituirsi ad essa.
«La morte è la madre della bellezza» disse Henry.
«E cos’è la bellezza?»
«Terrore.»
«Ben detto!» esclamò Julian. «La bellezza è raramente dolce o consolatoria. Quasi l’opposto. La vera bellezza è sempre un po’ inquietante.»
[…]
«E se bellezza è terrore» proseguì Julian, «cos’è allora il desiderio? Riteniamo di avere molti desideri, ma di fatto ne abbiamo soltanto uno. Qual è?»
«Vivere» rispose Camilla.
«Vivere per sempre» aggiunse Bunny, col mento sulla palma della mano.
La lucidità del delitto, l’impassibilità nel compiere un delitto efferato, la mancanza di sensi di colpa: questi sono i tratti distintivi che rendono cinque adolescenti qualunque dei perfetti assassini. Ragazzi comuni che vogliono elevarsi al di sopra della banalità quotidiana e tendere al sublime, alla bellezza in senso assoluto, a provare emozioni forti, extracorporali.
Così mentre i compagni di college organizzano normali feste tra studenti, questo gruppetto di aspiranti grecisti si dedica a baccanali in cui perdono completamente la coscienza di sé e di cui non serbano ricordi vividi.
Ma le conseguenze del loro gesto non tarderanno ad arrivare: le certezze si sgretolano e i segni di cedimento si fanno via via più pressanti – sicuramente amplificati dallo stato di offuscamento mentale causato dalla continua assunzione di alcol e di droghe. Da allora, violenza chiama violenza, fino all’inevitabile conclusione.
In passato avevo amato quell’idea, che la nostra azione, cioè, fosse servita a unirci: non eravamo amici normali, bensì amici per la vita e per la morte. Tale pensiero aveva rappresentato il mio solo conforto nel periodo successivo all’assassinio di Bunny; ora mi dava la nausea il sapere che non c’era via d’uscita. Ero legato a loro, a tutti loro, in modo definitivo.
Lo stile della Tartt non è sempre lineare ma si fa più complesso quando entrano in scena i lunghi dibattiti sul pensiero degli antichi greci, sui concetti filosofici di felicità e di bellezza – e non aiutano neanche le frasi in greco antico (non tradotte) in cui i cinque ragazzi parlano tra loro per non farsi capire dagli altri compagni.
Eppure sono proprio quel classicismo ostentato e quel linguaggio “alto” che permettono al lettore di calarsi perfettamente nell’atmosfera di questo college in cui sei ragazzi del tutto particolari scelgono di seguire un unico corso di studi, di mettersi nelle mani di un mentore – il professor Julian Morrow – che vuole fare di loro degli estimatori del mondo ellenico.
Dio di illusioni può sembrare un thriller, ma non lo è. Il delitto diventa un pretesto per entrare nella mente dei protagonisti e rivelarne la sensibilità (o piuttosto l’insensibilità) e la mancanza di connessione con la realtà che li circonda. Un libro da leggere!