Alessandra, di origini pugliesi, vive a Parigi e non torna nella sua città da quando ha perso la madre. Quando la suocera Annie viene ricoverata in una casa di cura, Ale inizia a farsi domande sul passato della donna, e questo la porta alla consapevolezza di dover chiudere i conti con il suo, di passato.
Cosa resta di noi quando perdiamo noi stessi?
Dopo L’amore che mi resta, Michela Marzano torna in libreria con Idda, una storia sulla memoria e la perdita dell’identità personale. Quale prospettiva futura abbiamo se perdiamo i nostri ricordi?
La protagonista è Alessandra, una giovane biologa che si è trasferita a Parigi e lì ha sposato Pierre. Quando alla madre di lui, Annie, viene diagnosticata la demenza senile, si mette in testa di scavare nell’infanzia dell’anziana donna, non solo per conoscerla meglio ma anche per scovare le ragioni che hanno reso suo marito Pierre così infantile, riluttante a prendere decisioni.
Ma non è facile ricostruire se la persona di cui si vuole conoscere il passato passa dal 1975 al 1954 in pochi minuti, se confonde il figlio con il padre, se non fa mai accenno al marito defunto. Una persona con l’Alzheimer. O è demenza senile? O demenza di Lewy? Che importa dare un nome a un’assenza? Annie vive in un mondo tutto suo, da cui riemerge sporadicamente e senza preavviso, per poi tornare a rifugiarsi in se stessa.
Eppure gli oggetti che ha custodito per tutta la vita dicono molto di lei, del rapporto coi genitori, degli anni del matrimonio e del piccolo Pierre. Ale inizia quindi un viaggio a ritroso nella Francia del dopoguerra dove incontriamo una Annie trascurata da un padre che è tornato dalla prigionia in Germania trasformato, distante, brusco, anaffettivo. Si riscoprono le ferite mai cicatrizzate della guerra, della fame, della paura. Conosciamo poi una Annie giovane donna, lavoratrice instancabile, innamorata del suo Jean e alla fine neomamma.
Oltre al dramma della memoria che si affievolisce ogni giorno di più, c’è il dramma di chi non riesce ad accettare la perdita di una madre, che non vuole vedere i segni della malattia, che non può smettere di essere figlio capace di guardare in faccia la realtà e prendere decisioni in merito.
Come si fa a elaborare il lutto di una persona ancora viva? Un figlio può tollerare l’angoscia della perdita inevitabile della madre, che conosce da sempre e che, tuttavia, fa fatica a riconoscere?
E infine, ma non ultimo, c’è la tragedia personale di Ale, la cui situazione familiare emerge di tanto in tanto ma, se pur latente, si annida velatamente in ogni riflessione della protagonista. Il confronto è inevitabile. Pierre una madre, anche se malata ce l’ha, può abbracciarla, mentre a lei non resta che il ricordo.
Nella seconda parte il romanzo cambia completamente scenario e segue il viaggio di Ale e Pierre in Puglia, alla riscoperta delle origini di Ale e dell’incidente che l’ha resa orfana della madre.
Che dire? Il romanzo non è male di per sé, ma c’è troppo materiale per un solo libro. I problemi neurologici di Annie con tutte le ripercussioni sulle persone interessate, la ricostruzione del suo passato attraverso le lettere trovate in casa: già questo era sufficiente per un romanzo ad effetto. Non serviva strafare! Passare alla situazione di Ale, al rapporto con il padre, alla figura della zia astiosa, al ricordo di cosa è successo tra i genitori… tutto questo mi è sembrano un “in più” inutile. Tanto più che la seconda metà del romanzo perde di pathos e risulta nel complesso meno coinvolgente (e non certo perché manchi di drammaticità). Un cambio di rotta decisamente troppo repentino e francamente poco sensato.
Michela Marzano
Idda
Einaudi, 2019