Il giovane Edmond Dantès, ingiustamente accusato di bonapartismo, viene arrestato e condotto nella prigione d’If, dove fa la conoscenza dell’abate Faria da cui apprende di essere vittima di una trappola di tre rivali invidiosi oltre che dell’esistenza di un tesoro nascosto sull’isola di Montecristo. Uscito di prigione quattordici anni dopo, Edmond torna in Francia con il solo scopo di vendicarsi di quanti sono coinvolti con la sua carcerazione.
Quale miglior classico della letteratura per terminare quest’estate se non Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas, un romanzo d’avventura che tiene compagnia come pochi altri sanno fare.
Edmond Dantès è un personaggio indimenticabile ed è impossibile restare indifferente alla sua sofferenza, non provare empatia per lui, non biasimarlo nel suo desiderio di vendetta né compatirlo nell’accettazione di aver spinto il suo odio oltre ogni limite. Lui che solo troppo tardi si rende conto di essere “un uomo che, simile a Satana, per un momento si è creduto simile a Dio”. Due sono gli assi nella manica mediante i quali si compie la sua vendetta. In primis la sapienza: aver girato il mondo, avere appreso gli aspetti burocratici, intendersi di movimenti bancari, sapere i benefici e le controindicazioni dei farmaci, ma soprattutto avere esperienza dell’animo umano e saper sfruttare queste conoscenze a proprio vantaggio.
La seconda arma in suo potere è il denaro, che il conte di Montecristo sventola in faccia a chicchessia con noncuranza, denaro a cui lui che ne è letteralmente ricoperto sembra non dar importanza in una società consumista dove i soldi sono sinonimo di benessere, di potere, di sottomissione.
Ma la sua furia vendicatrice avrà conseguenze inaspettate che sfuggono alla sua volontà e che faranno vacillare la fede in ciò che ha meticolosamente progettato.
Montecristo impallidì a quell’orribile spettacolo, comprese che aveva oltrepassato i limiti della vendetta, comprese che non poteva più dire:
“Dio è per me e con me”.
Ha tante anime questo romanzo (basti pensare alla dolce Mercedes o alla travagliata storia d’amore tra Massimiliano e Valentina), e tanti sono i sotterfugi, i travestimenti e le trame sottili ordite da una mente meticolosa e intelligente come quella di Dantès.
Il valore di un romanzo come questo non si discute e se anche l’ho trovato prolisso in alcuni passaggi della parte centrale, le ultime pagine (due-trecento pagine) sono a dir poco sublimi, vibrano di un’emozione indicibile. Un capolavoro da leggere e, perché no, rileggere nel corso degli anni.