Il sindaco di Amsterdam, uomo integerrimo e apprezzato dalla comunità, inizia a nutrire il sospetto del tradimento della moglie e si trova a ricostruire una serie di episodi passati sotto la nuova luce dell’adulterio già in atto.
Un inizio brillante e molto promettente, quello che Herman Koch ci regala con il suo ultimo romanzo, Il fosso.
Siamo ad Amsterdam e il sindaco in carica è una persona rispettabile, gioviale e attento ai bisogni dei suoi concittadini, ma allo stesso tempo fermo nelle decisioni da prendere; una persona irreprensibile, senza macchia e senza peccato. Eppure l’apparenza si discosta abbastanza dalla realtà: nella sua testa si aggirano pensieri di natura completamente diversa, non solo moralmente scorretti ma che hanno in sé una vena di pura cattiveria.
Il pretesto per entrare a fondo nella mente del protagonista e svelare la sua natura più recondita è la scena di cui è attento spettatore durante la festa di inizio anno: sua moglie chiacchiera amabilmente con l’assessore van Hoogstraten e sembra avere un atteggiamento piuttosto intimo.
Da quel momento, il sospetto si impadronisce di lui: ecco che diventa una spia silente e guardinga, e arriva a rileggere il passato come se l’adulterio fosse stato consumato da tempo immemore, come se fosse sempre stato lì, sotto i suoi occhi ciechi all’evidenza.
È così che noi lettori scopriamo un uomo cinico, preda della gelosia e del sospetto. Sua moglie Sylvia lo sta tradendo? E se sì, da quanto? Il pensiero di saperla con un altro (e per giunta con un uomo noioso come l’assessore) diventa un’ossessione:
Avevo paura di macchiare il passato. Il fatto che il tradimento rovinasse il presente potevo ancora accettarlo. Lo accettavo già. Ma il passato no.
Quanti di quei momenti avrei potuto ricostruire ora, a posteriori? O avrei voluto ricostruire? Momenti che ormai potevano voler dire qualcos’altro.
Come già ne La cena, Villetta con piscina e Odessa star si incontrano personaggi ambivalenti e cinici, anche qui la facciata perbenista esposta al mondo nasconde una natura molto più contraddittoria, al limite del politicamente (e umanamente) corretto.
Ma veniamo alla critica. Se, come ho anticipato, l’inizio del romanzo è dirompente, la seconda parte è un po’ prolissa e gira sempre intorno agli stessi snodi: il tradimento in primis, ma anche l’idea della morte. Deperimento fisico, vecchiaia, morte assistita e suicidio formano un unico grande serbatoio da cui attingere per le sue variazioni sul tema. Il protagonista infatti è praticamente circondato da persone che stanno facendo piani per mettere fine alla propria vita, e ovviamente nella sua mente formula la sua personale opinione in merito:
Quel che i suicidi non capiscono è che la vita va vissuta fino alla fine.
Ma il neo più grande del romanzo resta il finale, poco chiaro e altrettanto poco risolutivo ai fini della vicenda.
Insomma un declino lieve ma inesorabile. E seppur avrebbe potuto chiudere col botto come Koch ha dimostrato di saper fare (maestro del cinismo qual è), si è accontentato di un finale aperto o vagamente allusivo.