Durante il suo viaggio in Afghanistan dopo la caduta del regime talebano, Asne incontra il libraio di Kabul, Sultan Khan, e gli chiede ospitalità per seguire la sua famiglia da vicino e poter scrivere un libro sulle abitudini afgane.
A metà tra romanzo e reportage, Il libraio di Kabul offre uno sguardo lucido sulla vita in Afghanistan tra guerre civili e guerriglie armate che costringono a fuggire dalla propria terra.
Quello che si evince da queste pagine è che in Medio Oriente la società è ancora fortemente patriarcale e il ruolo della donna è ancora strettamente legato alle cure della casa e dei figli, mentre per tutte le faccende sociali la sua condizione è subalterna rispetto a quella dell’uomo.
L’impossibilità di opporsi a un matrimonio combinato dai genitori, il divieto di parlare a un uomo non appartenente alla famiglia o di conversare con le altre donne al di fuori delle mura domestiche: queste sono solo alcune delle situazioni in cui la donna non ha voce in capitolo, ma ci sono tante piccole (e a confronto futili) privazioni a cui deve sottostare. Il burqa in primis: il mercato è un mare di vesti senza facce e solo il sandalo o le decollété col tacco alto permette di identificare chi si nasconde sotto quelle tuniche tutte uguali.
È davvero difficile leggere queste pagine senza provare un moto di rabbia e di incredulità, soprattutto ora che quello stesso regime è tornato al comando. Come può una donna occidentale comprendere il divieto di ascoltare musica o di ballare, di salire su un taxi da sole? Come si può giustificare che la disobbedienza al divieto di mettersi lo smalto è stato per lungo tempo punibile con l’amputazione delle falangi (e forse lo sarà di nuovo)?
L’amore ha ben poco di romantico, al contrario, può essere considerato un grave misfatto da punire con la morte. Gli indisciplinati vengono uccisi a sangue freddo. Nel caso in cui sia solo uno dei due a venir punito con la morte, tocca senz’altro alla donna.
Le giovani sono prima di tutto merce di scambio o di compravendita. Il matrimonio è un contratto che si stipula tra diverse famiglie o all’interno delle famiglie: tutto si decide in base al profitto che apporta al clan, raramente i sentimenti vengono presi in considerazione.
Come ho detto, c’è una connotazione molto vicina al reportage in alcuni passaggi, non solo per quanto riguarda episodi della storia passata della nazione, ma anche in riferimento alle origini degli usi divenuti oggigiorno caratteristici della cultura afgana.
Il libraio di Kabul non è il primo libro che denuncia l’arretratezza e l’ingiustizia che vigono nella società afgana (e, a dire il vero, non è neanche il migliore), ma è comunque un tassello aggiuntivo per inquadrare un mondo che geograficamente non è poi così lontano da noi, eppure è così diametralmente opposto. Un mondo che proprio in queste settimane abbiamo abbandonato al suo destino.