Arthur Opp è un uomo che ormai da anni non mette piede fuori casa per via del suo enorme peso. Kel è un promettente giocatore di baseball che trascorre il suo tempo fuori casa per non guardare la madre disfatta dall’alcol. Le loro vite sono destinate ad incontrarsi, legate insieme dall’amore per la stessa donna, Charlene.
Il libro inizia con la presentazione di Arthur, un ciccione di quelli che ormai popolano molti programmi televisivi americani di vite interrotte a causa dell’ossessione per il cibo, chiuse nelle proprie case ad aspettare un destino fin troppo palese, la morte. Qualsiasi movimento, anche il più banale, è ostacolato da una scorza fatta di adipe, e qualsiasi rapporto con l’esterno è impossibilitato dalla vergogna di quel corpo e dalla difficoltà di comunicarne il disagio. Questo personaggio suscita sentimenti contrastanti: profonda rabbia per una vita gettata alle ortiche, ma a tratti anche tanta simpatia – forse solo chi ha avuto problemi con la bilancia può capire cosa spinga a rifugiarsi nel cibo. Non è solo ingordigia. È disperazione, è il sintomo di un malessere che viene dal profondo, di un vuoto che viene colmato da cumuli di cibo.
Cercavo di ricordarmi che esistevano molte persone come me e quante di loro piombavano nella disperazione della solitudine. Accade ogni giorno, mi ripetevo, ogni giorno qualcuno perde il contatto con il mondo e diventa un nobile eremita, connesso solo con se stesso, un serpente che si morde la coda e che poi deve cercare con determinazione l’aiuto della superanima della solitudine, deve farlo, altrimenti morirà.
Poi c’è Kel. È a lui che va la compassione e il più totale coinvolgimento del lettore. E il peso di cui si fa riferimento nel titolo è per certi versi anche il suo: quel macigno che opprime sul petto quando sembra che la vita sia uno schifo, che tutto vada a rotoli, che le tue certezze, poche, vacillino. Un ragazzo come tanti, con una vita normale e un promettente futuro, schiacciato dal fardello della vergogna, della preoccupazione, delle responsabilità. Un adolescente privato della serenità dei suoi anni, costretto a mentire per nascondere agli amici la drammaticità della sua esistenza.
Il peso è un romanzo sul disagio sociale considerato in una duplice accezione. Un libro che vale la pena leggere perché, anche se non dà la chiave della felicità, lascia aperta la possibilità che una vita migliore possa sempre e comunque esserci. Basta “solo” aprire il proprio cuore agli altri.
Parlo con le persone. Ho smesso di mentire o di starmene in silenzio. Racconto a tutti la verità. Lascio che mi aiutino. Vogliono tutti aiutarmi quindi li lascio fare.
In questo romanzo non mancano certo gli spunti di riflessione. Il suo compito è quello di aprirci gli occhi: magari vicino a noi – più vicino di quanto crediamo – c’è qualcuno che ha bisogno di aiuto, anche se non lo chiede, anche se non è consapevole di averne bisogno.
One thought on “Il peso”
Hai esattamente colto l’essenza di questo libro. Se penso che l’ho scelto andando a cambiare un libro della Litizzetto! La libraia ancora ride! Un cambio pazzesco. Continua così!